I “Racconti budriesi” di Giordano Villani e i simboli ricorrenti dell’acqua e del sogno
Dieci storie soffuse di stupori, emozioni metafisiche, sobbalzi attutiti dalla saggezza, ritmi oscillanti e sfumati. Stiamo parlando di Mormorii nella nebbia. Racconti budriesi (inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 148, € 13,00) di Giordano Villani, undicesimo volume della collana di narrativa La scacchiera di Babele.
L’opera è preceduta da una Prefazione della direttrice della collana, Valentina Conti, intitolata Quando quotidianità e onirismo si intrecciano: i racconti della Bassa di Giordano Villani, che adopera chiavi interpretative psicanalitiche che abbiamo il piacere di ospitare sulla nostra rivista.
Certamente Giordano Villani ha la fortuna di essere uno di quegli uomini, ormai così rari nel mondo “globalizzato”, che si sentono perfettamente integrati nel luogo dove sono nati e hanno vissuto.
Nel suo caso, si tratta del piccolo universo della Pianura padana tra Bologna, Ferrara e Ravenna, a nord della direttrice della San Vitale. A caratterizzarlo – soprattutto nel passato, visto che oggi i cambiamenti climatici stanno rapidamente modificando le caratteristiche dell’ambiente naturale – la distesa pianeggiante, la nebbia, l’acqua palustre.
L’autore ama questo paesaggio, vi si sente perfettamente immerso, quasi protetto, e si capisce che non riuscirebbe a farne a meno.
Al contempo, egli è legato altresì all’umanità del luogo, a quel mondo contadino anch’esso in via di estinzione, con la sua cultura, la sua morale, la sua religiosità, a volte ingenue, ma connotate da importanti valori e grande senso della dignità; analogamente, si sente vicino pure alla sua storia, al suo passato, alla marea di persone che lo hanno popolato.
Intendiamoci: Villani non presenta la realtà contadina dei tempi andati come un’Arcadia, un’oasi di pace e perfezione. La miseria, l’ingiustizia, la violenza, ben presenti nelle epoche passate, traspaiono, anche se non come tematiche centrali, in alcuni suoi racconti (Correva l’anno, La morte del topo). Tuttavia, è innegabile, se non la nostalgia, il rispetto e l’amore per un universo che ormai non esiste più, e per i suoi valori spirituali (si veda soprattutto Come Giuseppe incontrò l’eternità). Sicché i racconti dell’autore recuperano l’antico fascino della novella.
Si perviene spesso a una sorta di arpeggio costituito da una filigrana musicale ed elegiaca, da ritmi lentamente umani, da sottofondi pudichi e sinceri. Un mondo limpido, vitale, costituito da armonie mosse a volte solo da funambolici movimenti infantili, seppure sul suo sfondo aleggino la povertà e il fantasma sempre presente della fame, così come talvolta soffiano su tale microcosmo le inquiete e inquietanti risonanze indefinibili, quasi estranee, della “Storia ufficiale”: una dimensione incomprensibile, apparentemente distante dalla società rurale, segnata dai lenti ritmi della natura, laddove gli eventi storico-politici sono tumultuosamente dinamici.
Nella cultura contadina anche i morti appartengono al presente, alla vita, sono esseri coi quali è possibile colloquiare, presenze che non ci hanno mai abbandonato, anzi possono persino intervenire, aiutarci, salvarci (Il casellante).
Sul fondale della Bassa bolognese e del suo mondo contadino, si innestano quelle che sono le tipiche peculiarità narrative di Villani: la sospensione del tempo, l’onirismo, lo scompaginamento della “normalità” quotidiana, il mistero che sconvolge la quiete dei personaggi.
Sembra quasi che lo scrittore, per comprendere la realtà, spesso incomprensibile o enigmatica, per trovare la propria armonia smarrita, e recuperare il senso della vita, e con esso le energie consumate, abbia bisogno di tuffarsi nell’inconscio, confrontandosi con scenari diversi, irreali, a volte esotici (La grotta del diavolo), per poi ri-uscire rinnovato.
E, proseguendo nel discorso freudiano, l’acqua diventa il simbolo-chiave. Soprattutto palustre, essa rappresenta uno spazio dove tutto è possibile: la vita e la morte. Essa può essere la fonte della fertilità (la fecondità della Padania nasce dall’abbondante acqua del sottosuolo), ma al contempo celare la presenza occulta del mostro (La bestia); rifugio prezioso o misteriosa sostanza, apparentemente stagnante, immobile e statica, ma anche dinamica e ricca di vitalità.
Ecco, pertanto, che il narratore ci sballotta entro alterità sorprendenti, nei quali ci troviamo spaesati almeno quanto i personaggi. La quotidianità si mescola all’onirico, il banale scorrere della “normalità” è proiettato verso mondi desiderati/temuti, che, comunque, come si diceva sopra, rappresentano un’esperienza essenziale per il nostro “io”, ai fini del recupero di una dimensione più armoniosa ed equilibrata tra desideri e serenità della consuetudine, tra voglia di evasione e ritorno alle sicurezze, tra pulsioni dell'”es” e riequilibrio del conscio (ad esempio, La bestia, La palude, L’ascensore, o La grotta del diavolo).
D’altra parte, lo stesso Sigmund Freud ha chiarito che “il sogno è un fenomeno psichico pienamente valido e precisamente l’appagamento di un desiderio”: nell’esistenza di ciascuno di noi l’esperienza onirica è importante alla stregua di quella reale. Del resto, basti pensare che passiamo circa un terzo della nostra vita dormendo e che, mentre sogniamo, continuiamo a riflettere e a provare sentimenti e sensazioni.
E anche nei racconti meno “simbolici”, sottili analogie e connessioni tra i personaggi, gli animali, la natura, collegano misteriosamente le vicende narrate (si veda, in particolare, La morte del topo).
Il tutto è riportato sulla pagina con perizia, ma con senso della misura, modestia, umanità. Che, ci accorgiamo, sono, alla fin dei conti, le stesse caratteristiche del nostro Giordano Villani, uomo sereno, felice, equilibrato, con una visione etica dell’esistenza, intesa nel suo significato più alto.
(Valentina Conti, Quando quotidianità e onirismo si intrecciano: i racconti della Bassa di Giordano Villani, Prefazione a Mormorii nella nebbia. Racconti budriesi di Giordano Villani, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina della raccolta di racconti di Giordano Villani.
Jessica Ingrami
(LucidaMente, anno IV, n. 37, gennaio 2009)