Le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine, durante il G8 del 2001, sono il tema centrale del film “Diaz – Don’t Clean Up This Blood” di Daniele Vicari
Tra il 19 e il 22 luglio 2001, Genova fu sede del vertice del G8, durante il quale si scatenarono gravissimi incidenti tra le forze dell’ordine e i militanti del movimento No global, che culminarono nell’omicidio di Carlo Giuliani da parte del carabiniere ausiliario Mario Placanica. Si trattò di tre giorni di violenze inaudite, con i Black Bloc, da un lato, che incendiarono automobili e ruppero vetrine, e le forze di pubblica sicurezza, dall’altro, che infierirono senza ritegno su migliaia di inermi manifestanti.
Gli atti più violenti e oltraggiosi avvennero nella caserma dei carabinieri di Bolzaneto e all’interno della scuola elementare Armando Diaz, dove la sera del 21 luglio erano state alloggiate alcune centinaia di persone. Tra coloro che andarono a dormire alla Diaz, sessantuno furono i ricoverati in ospedale, quattro dei quali in condizioni gravi, mentre circa duecentoquaranta persone furono illegalmente trattenute in stato di fermo e torturate nella caserma di Bolzaneto. Solo per miracolo non ci scappò qualche altro morto, considerando che molti pacifisti furono ripetutamente colpiti con calci, pugni e colpi di manganello. Si trattò di una vera e propria “macelleria messicana” (secondo l’espressione usata, nelle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti, dallo stesso Michelangelo Fournier, all’epoca vicequestore aggiunto del primo Reparto mobile di Roma). Fu così attuata la sospensione della legalità democratica, in uno sconvolgente clima da golpe sudamericano stile anni Settanta.
Dei terribili fatti accaduti a Genova nel 2001 parla il film di Daniele Vicari Diaz – Don’t Clean Up This Blood, in programmazione nei cinema dal 13 aprile. Il regista reatino, basandosi sugli atti processuali, ricostruisce la “mattanza” avvenuta all’interno della scuola Diaz la sera del 21 luglio 2001, tra le dieci e mezzanotte. Protagonisti del film sono un gruppo di giovani manifestanti, un giornalista della Gazzetta di Bologna, un vecchio militante pacifista e un poliziotto “democratico”, i quali, seguendo itinerari diversi, si ritrovano infine dentro la scuola genovese, venendo coinvolti, loro malgrado, in un incubo allucinante che segnerà per sempre le loro esistenze.
La telecamera segue l’odissea che i vari personaggi compiono durante gli incidenti diurni, a partire da un evento cruciale, che rappresenta il casus belli cui si appiglieranno i dirigenti delle forze dell’ordine per predisporre l’assalto notturno alla Diaz: un tentativo di aggressione di una volante della polizia da parte di un gruppo di manifestanti, che si conclude con il lancio di una bottiglia di birra vuota, infrantasi senza conseguenze sull’asfalto. La scena viene ripetuta spesso nel film, anche al rallentatore e a ritroso, e funge da momento iniziale per narrare i vari episodi di cui esso si compone. Gli unici tra i protagonisti a scampare al massacro saranno alcuni ragazzi che, trovandosi nel bar antistante la scuola al momento dell’irruzione della polizia, trascorreranno lì la notte, terrorizzati dalla paura, mentre fuori si odono i colpi degli aggressori e i lamenti delle vittime.
Il film di Vicari ha sollevato le obiezioni di Vittorio Agnoletto, esponente del Genoa Social Forum, che ha contestato la scarsa attenzione riservata alle motivazioni della protesta e all’individuazione delle responsabilità politiche del governo di centrodestra, allora in carica, che predispose la feroce repressione (cfr. Vittorio Agnoletto, Quello che il film “Diaz” non dice, in http://www.vittorioagnoletto.it). E, in effetti, il regista siciliano avrebbe potuto delineare meglio il contesto all’interno del quale si inserì l’assalto alla Diaz ed essere più esplicito nell’individuare le responsabilità politiche di quanto avvenne durante il G8 (sebbene qualcosa nel film si intuisca, quando, verso la fine, si sente parlare in tv Silvio Berlusconi contro i Black Bloc). Vicari, dal canto suo, ha replicato alle critiche, sostenendo di aver voluto semplicemente focalizzare l’attenzione sulle gravi illegalità commesse il 21 luglio dentro la scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, affinché quei tristi momenti non vengano dimenticati e non si ripetano più.
Nel 2010 la Corte di Appello di Genova ha condannato venticinque imputati a pene variabili tra tre anni e otto mesi e quattro anni, dichiarando colpevoli però solo tredici degli esecutori materiali dei massacri perpetrati nella scuola Diaz (la maggior parte dei poliziotti era irriconoscibile, avendo il volto coperto dai caschi), insieme ai dirigenti di polizia che organizzarono il blitz. Alcuni di loro, tra l’altro, portarono surrettiziamente due bombe molotov all’interno della scuola per giustificare a posteriori l’assalto. Sempre nel 2010, la Corte di Appello di Genova, per le violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto, ha riconosciuto colpevoli quarantaquattro tra ufficiali della polizia penitenziaria, guardie carcerarie, carabinieri, medici, agenti e funzionari di polizia. Tuttavia, la pena è caduta in prescrizione per molti dei responsabili, non essendo ancora previsto dal Codice penale italiano il reato di tortura (che, invece, non potrebbe essere prescritto). Solo sette imputati, perciò, sono stati condannati a pene detentive variabili tra un anno e tre anni e due mesi.
L’immagine: tre locandine di Diaz – Don’t Clean Up This Blood.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)
Il film è molto brutto, ma ha il merito di denunciare avvenimenti vergognosi per una nazione civile. Ma l’Italia non lo è. Non ha neanche introdotto il reato di tortura nel proprio codice penale… tanto per lasciare la possibilità ai propri “tutori dell’ordine” di compiere altre mattanze.