Una sessantina d’anni, una pensione minima nel portafogli e molta, forse troppa, dignità. La signora Anna, che proprio non ce la faceva più ad arrivare a fine mese con le sue risorse, di chiedere aiuto non ne voleva sapere. Così, per mesi, ha preferito andare avanti da sola nutrendosi di croccantini per il cane. Oggi è una delle quindici-venti persone per cui i volontari della Caritas di Bologna preparano ogni settimana un pacco di alimenti da portare a casa: forse non poveri come chi non ha un tetto sulla testa forse, ma abbastanza da non arrivare più alla fine del mese con quel poco che prima bastava e ora no.
La povertà della porta accanto
Quello della signora Anna non è un caso isolato: il suo è solo uno dei moltissimi volti della nuova povertà. Quella discreta, di chi povero lo è di fatto, ma non si sente tale. Una povertà che non ha l’aspetto abituale dei mendicanti, dei clochard, dei nomadi, degli immigrati, di chi avverte di non appartenere ad un sistema sociale e se ne tira fuori anche fisicamente, vivendo per strada.
La nuova povertà, che abita le nostre città, ha tratti molto meno riconoscibili rispetto a certi clichè e forse proprio per questo è ancora più insidiosa. Colpisce anziani con pensioni “da fame”, giovani con lavoro precario che non possono più farsi sostenere dai genitori. Ma anche persone che un lavoro regolare ce l’hanno. Operai o impiegati in giacca e cravatta che, anche riducendo all’osso le spese, non ce la fanno a mantenere le famiglie.
Dignità e pudore
Alcuni trovano il coraggio di chiedere aiuto, molti ancora no. Per pudore o per orgoglio. Perché ammettere di non farcela da soli per molti significa anche sentirsi falliti, doversi giustificare verso gli operatori del sociale e verso i conoscenti da cui ci si sente additati. E anche chi riceve aiuto spesso non supera mai la vergogna.
Come la signora Anna, che ancora oggi, racconta il responsabile della mensa Caritas di via Santa Caterina, Paolo Puggioli: “Quando arriva con il foglietto che dà diritto a ritirare il pacco alimentare lo allunga di nascosto e si nasconde negli angoli per non essere vista se, quando suona il campanello, qualcuno non apre subito”. Come lei moltissimi altri, assicura Puggioli, trovano difficoltà a parlare della loro situazione e forse per questo il fenomeno delle nuove povertà fatica ad emergere ed è difficile quantificarlo correttamente.
Pacchi alimentari per i nuovi poveri
Proprio per queste persone i volontari della Caritas hanno predisposto il servizio dei pacchi alimentari, diverso dalla mensa diocesana dedicata a povertà più “classiche”. Pasta, pomodoro, olio, formaggio e tutto quello che si riesce a reperire. Attualmente vengono distribuiti quindici-venti pacchi a settimana a famiglie o persone sole.
Qualche giovane disoccupato, spiega Puggioli, ma soprattutto molti anziani e persone dalla cinquantina in su. I motivi delle difficoltà economiche sono sempre gli stessi: affitto e bollette da pagare per non ritrovarsi senza gas e luce o, peggio, sfrattati. E poi i costi alimentari sempre più elevati contro cui possono davvero poco “gli aiuti estemporanei del pane a un euro che una volta c’è e un’altra no”.
Storie di ordinaria indigenza
Anche al Pronto soccorso sociale dell’Opera padre Marella, che garantisce ai suoi ospiti non solo un alloggio ma anche pasti e assistenza, hanno notato un netto cambiamento nelle richieste di aiuto.
“Prima quelli che venivano qui – comincia padre Vincenzo – erano soggetti classici come emarginati, stranieri o disagiati psicologici. Lo standard classico era molto lontano dalla persona normale. Negli ultimi quattro-cinque anni, però, da lontana la povertà si è fatta molto vicina alla vita di tutti”. Come dimostra il fatto che, delle settanta persone che la struttura riesce ad accogliere, oltre trenta sono, in questo periodo, italiani. Tutti uomini di mezza età, con alle spalle storie fatte di fragilità affettive, periodi di depressione e lavori instabili. Per molti è proprio questo il problema: se si perde l’occupazione a quarantacinque anni, reinserirsi diventa molto difficile. Troppo giovani per il pensionamento, troppo vecchi per un altro impiego, i disoccupati cinquantenni (aumentati a Bologna più del 40% negli ultimi due anni) finiscono per campare di lavori in nero, senza riuscire a pagare neanche l’affitto.
E sempre più spesso quelli che non ce la fanno a reagire a fallimenti personali, fa notare il sacerdote, sono i più soli perché “la povertà ha molto a che vedere con la mancanza di affettività”. Non a caso al centro le famiglie arrivano già disgregate e non sono rari i casi di genitori che non parlano più con i figli da anni e non riescono a farlo proprio per vergogna della propria situazione.
Solitudine uguale povertà
Che la nuova povertà oggi non sia solo economica ma legata anche alla sfera degli affetti non è passato inosservato neanche al Centro di ascolto dell’Antoniano di Bologna.
Qui gli italiani che chiedono assistenza sono persone che hanno perso tutto. Presentano un tratto costante, sottolinea Ilaria Arcara del centro di ascolto: sono uomini con alle spalle una disgregazione della rete familiare (divorzi, separazioni, storie travagliate) a cui poi si aggiunge anche il problema economico. Al centro di ascolto, racconta Ilaria, si è rivolto ad esempio un signore di sessant’anni, entrato in crisi dopo la morte della convivente e la vendita, da parte dei figli di lei, della casa in cui la coppia aveva vissuto. Una situazione già difficile alla quale si è sommata la batosta lavorativa, con la ditta che, dopo un anno di cassa integrazione, lo ha licenziato.
O ancora le storie sono quelle di molti trenta-quarantenni senza lavoro che vivono grazie alla pensione dei genitori e che, dopo la morte di questi, si ritrovano senza niente. Insomma, quando mancano sia le risorse affettive che quelle economiche, rimettersi in carreggiata è davvero complicato. Causa anche, continua l’operatrice, di un mercato del lavoro spietato dal punto di vista delle selezione del personale su base anagrafica, e pronto quindi ad escludere, soprattutto da settori come ristorazione ed edilizia, persone di grande esperienza per assumere diciottenni, spesso in nero.
Stress da bilanci economici
E questo progressivo impoverimento delle famiglie non è solo un’impressione degli operatori del settore.
A confermarlo anche molti dati statistici: ultimo quello del rapporto Istat su reddito e condizione di vita degli italiani, secondo cui una famiglia su sette non arriva a fine mese. Anche a Bologna, che pure appartiene alla regione meno povera (con “solo” il 2,5% di famiglie in difficoltà), il dato nazionale trova conferma. Già nel 2006 un’indagine del Medec (Centro demoscopico metropolitano) su consumi dei bolognesi e carovita, rilevava un 28% delle famiglie residenti sotto le Due Torri in “situazione di elevato stress dei bilanci economici familiari” (spendono tutto quello che guadagnano, fanno fatica a tirare avanti, dispongono di pochi redditi e spesso vivono in affitto) e un 27% di famiglie in condizione “intermedia” (con livelli di risparmio molto bassi e stress economico ai livelli di attenzione). In totale, insomma, già due anni fa il 55% delle famiglie bolognesi viveva situazioni critiche rispetto ai bilanci familiari, con un conseguente calo in tutte le voci di spesa: il 21% riduceva, ad esempio, le spese alimentari, il 45% quelle per l’abbigliamento.
Un bilancio pesante, che difficilmente potrà migliorare con il tempo, visto anche che il costante aumento dei prezzi non accenna per ora a fermarsi. A Bologna, secondo l’Osservatorio prezzi, a inizio 2008, la pasta costava il 17,8% in più rispetto all’anno precedente, il pane era aumentato del 7,6% mentre tariffe di gas e riscaldamento facevano segnare rispettivamente variazioni del +15% e +3,8%.
L’immagine: mensa per “nuovi poveri”.
Letizia Pascale
(LM MAGAZINE n. 5, 15 ottobre 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 34, ottobre 2008)