“Vieni al mondo bambino mio, svegliati alla vita / La vita è buona, lo vedrai / Vieni al mondo bambino mio, svegliati alla vita / Tutti noi siamo qui e ti aspettiamo / E tutta la foresta salterà di gioia / Non appena tu sarai nato / Tutta la foresta ti sta aspettando / Puoi vedere la pantera con il suo manto più bello / Ed il leone, il re in persona, indossa una criniera nuova di zecca / Per darti il benvenuto / Non avere paura dei malvagi / Noi abbiamo confinato i malvagi / In una prigione di disprezzo / Da cui non potranno più scappare / I cattivi non ti daranno mai fastidio né ti renderanno infelice / Perché noi siamo qui, tutti noi, e ti aspettiamo / Vieni, tutta la foresta ti sta aspettando!”
(Forest nativity, canzone camerunense)
Francis Bebey
Un’immagine dell’Africa
Nella fantasia di molti, l’Africa è un continente inondato dal sole, costellato da spiagge bianchissime, da deserti e foreste vergini. Agli occhi di chi osserva il suo popolo, spesso sorridente, fa però capolino immediatamente un’entità oscura che finisce irrimediabilmente per dipingere questo continente con tinte fosche. Un vero e proprio assaggio dell’orrore, del lato oscuro conradiano.
La vita in Africa vista dall’occidente
Ciò che colpisce immediatamente l’occhio del viaggiatore occidentale quando arriva in Africa giungendo in una sua metropoli o in un suo villaggio, è la quantità di bambini che incontra nei mercati, lungo i sentieri ai bordi delle vie di comunicazione, vicino alle spiagge o ai fiumi. Si tratta di bambini di tutte le età, che giocano, lavorano, rubano, uccidono o vengono uccisi.
Anche se, malgrado tutto, l’immagine che ci sovviene più di frequente agli occhi è quella di un bambino che sorride e si prende cura dei più piccoli perché in questo continente è ben saldo nella tradizione lo stare e il crescere insieme.
Si matura insieme ai coetanei
Si cresce in gruppo, infatti, e si apprende ad agire in forma sociale. Invece di giocare con le Braz o con i Gormiti, i piccoli frugoletti già all’età di 5 o 6 anni si prendono cura di bebè in carne e ossa.
Barry S. Hewlett nel suo Intimate Fathers. The Nature and Context of Aka Pygmy Paternal Infant Care, dichiara: “L’addestramento all’autonomia comincia già dalla prima infanzia. Ai bambini neonati è permesso gattonare o camminare ovunque all’interno del villaggio, adoperare coltelli o machete, ramoscelli appuntiti o pentole di argille per giocare. Non è insolito vedere un bambino di otto mesi scalfire con un coltello di quindici centimetri la struttura dei rami che circondano la propria abitazione”.
Bambini in fuga
Purtroppo, la vita che finiscono per condurre i bambini africani nella maggior parte dei casi non è felice. In Sudan, nella vasta zona desertica del Darfur, le scorrerie delle milizie dei Janjaweed, spalleggiate dal governo di Khartoum, stanno costringendo da anni alla fuga metà della popolazione. Neppure nei campi per sfollati c’è sicurezza ed è sempre più diffuso il ricorso alla violenza sessuale come arma di ricatto e umiliazione ai danni dei bambini e soprattutto delle bambine.
Nel Burundi, uno degli stati con più alta densità di popolazione di tutta l’Africa, la popolazione si contende il territorio dal 1965, in un susseguirsi di colpi di stato e di guerre tra le due etnie che la abitano, tutsi e hutu. La conseguenza è il gran numero di sfollati, nella maggior parte bambini e adolescenti. E ancora, in Sierra Leone, dal 1991 centinaia di migliaia di bambini, bambine e adolescenti sono stati direttamente coinvolti in scontri bellici, perché utilizzati sia da parte degli eserciti governativi, sia da parte di gruppi armati di opposizione.
Sono indicati come giovani “volontari”, anche se in realtà si tratta di ragazzini dai 15 ai 18 anni, con punte al di sotto dei 10 anni.
Le azioni umanitarie non si contano
Il raggruppamento italiano Stop all’uso dei bambini soldato!, nato ufficialmente a Roma nel 1999, attualmente composto da Alisei, Amnesty International-Sezione italiana, Cocis, Coopi, Focsiv, Jesuit Refugees Service-Centro Astalli, Save the Children Italia, Telefono Azzurro, Terre des Hommes Italia, Unicef Italia, si sta battendo perché questi bambini si approprino del diritto di ricominciare ad essere tali. Sarebbe anche il caso di ricordare che gli italiani hanno anche un appuntamento importantissimo nel 2015: per quell’anno infatti l’Italia si è impegnata, assieme ad altri paesi ricchi, a portare a termine la campagna TARGET 2015: halving world poverty.
Facciamo un salto indietro per capire meglio: nel settembre del 2000, sotto l’egida dell’Onu, si è svolto a New York un importante vertice nel quale i leader mondiali, tra cui l’Italia, hanno stabilito alcuni obiettivi primari nella lotta alla povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi gli sforzi di tutti i governi e di tutte le principali istituzioni internazionali. La lotta mira a dimezzare la povertà nel mondo oltre che a garantire un’istruzione di base a tutti i bambini, affinché non persista la disuguaglianza tra i sessi che ancora oggi relega la donna in una condizione socialmente inferiore.
Occorre coordinare gli interventi umanitari
Siamo a metà cammino e l’Italia si distingue per l’esiguità delle risorse dedicate allo sviluppo: dovevamo arrivare allo 0,33%25 del Pil nel 2006 e ci siamo fermati allo 0,20%, e i dati del 2007 purtroppo non si discostano di molto. Nei prossimi sette anni poi si dovrà ridurre della metà il numero dei decessi infantili riportandoli a 13.000 al giorno (così si legge nel rapporto Unicef 2008). Al ritmo attuale, l’obiettivo sembra lontano anni luce. Dunque, per ottimizzare gli sforzi, incrociando opportunamente le dita, occorre che gli interventi umanitari siano coordinati tra loro e che favoriscano la risoluzione definitiva dei contrasti.
L’esempio della Sierra Leone è emblematico: qui il killer numero uno è la polmonite, oltre ai traumi che conducono i bambini alla droga. Si può lavorare con loro, aiutarli, ma, ovviamente, occorre anche fare in modo che la guerra finisca! Perché, se un adolescente ha bisogno di uscire dalla droga, come si può sperare che sia in grado di farlo se il suo paese viene messo a fuoco e fiamme continuamente?
Il ruolo degli educatori
Da parte loro, gli educatori delle scuole hanno un potere infinito sul destino di questi giovani con cui passano ore ogni giorno. Michael Ochieng, fondatore della comunità Koinonia di Nairobi e responsabile di Africa Peace Point, un’associazione che si occupa di pace e riconciliazione, da molti anni è coinvolto nel sostegno e nella liberazione dei bambini di strada della metropoli keniota: “I bambini – afferma – sono un buono specchio di ciò che accade in una società. Aiutarli a diventare buoni cittadini attraverso l’apprendimento, è fondamentale per il futuro del nostro paese. Ho avuto il compito di insegnare loro come difendersi dagli abusi. L’approccio da me utilizzato è quello di raccoglierli per farli lavorare insieme invitando esperti africani a condividere con loro le questioni. Il gioco e lo sport hanno avuto un ruolo di rilievo essendo i mezzi più immediati per facilitare l’aprirsi dei bambini e la condivisione delle loro esperienze”.
Il lavoro di tanti movimenti di mediazione internazionale, di gruppi religiosi, di giornalisti, di editori, di artisti, di imprenditori, è dunque fondamentale, ma occorre rimboccarsi le maniche affinché un giorno ci sia un’Africa un po’ più serena, dove il bambino possa essere accolto finalmente con ottimismo, come cantava il musicista camerunense Francis Bebey (Douala, 1929-Parigi, 2001), con il quale abbiamo introdotto questo nostro articolo.
Qualche sito:
Stop all’uso dei bambini soldato!, http://www.bambinisoldato.it.
Alisei, http://www.alisei.org.
Amnesty International-Sezione italiana, http://www.amnesty.it.
Cocis, http://www.cocis.it.
Coopi, http://www.coopi.it.
Focsiv, http://www.focsiv.it.
Jesuit Refugees Service-Centro Astalli, http://www.centroastalli.it.
Save the Children Italia,http://www.savethechildren.it.
Telefono Azzurro, http://www.azzurro.it.
Terre des Hommes Italia, http://www.tdhitaly.org.
Unicef Italia, http://www.unicef.it.
L’immagine: Due bimbi africani, foto gentilmente concessa dall’associazione Humana People to People Italia ONLUS.
Alessandra Cavazzi
(LM Magazine n. 2, 15 maggio 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 29, maggio 2008)