Tre storie per rileggere la Storia, ovvero, come disse Simone de Beauvoir, “non appena si tocca un mito, sono in pericolo tutti i miti”. Anche quello di Osama Bin Laden. Navid Kermani, giovane e poliedrico intellettuale tedesco di origini iraniane, ci propone di studiare la storia per rileggere l’iconografico presente di sangue che ci vendono i networks targati Usa. Questa la sua sfida ermeneutica: dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, ha deciso di mettere a frutto la propria doppia identità culturale come strumento per cercare una risposta all’incomprensibile gesto di Mohammad Atta e degli altri attentatori, in gran parte giovani colti e benestanti, in alcuni casi apparentemente ben integrati nelle cosiddette Medine d’Europa.
Kerbala: il mito del martirio – Kermani ha, così, scritto Dinamite dello spirito. Martirio, Islam e Nichilismo, edito da Aquilegia Edizioni (pp. 132, € 7,50), che si apre con una cinematografica rappresentazione della battaglia di Kerbala e del martirio di Hussein ibn’Ali, mito fondante dell’Islam sciita e caposaldo del culto islamico del martirio, filtrato nello sciismo, forse, attraverso una contaminazione culturale in Età medievale con il cattolicesimo. L’autore attraversa, come in uno stream of consciousness, secoli di storia dell’Oriente e dell’Occidente, evidenziando la persistenza della martirologia nei luoghi sociali e culturali del pensiero e delle società musulmane e la connotazione del mito come strumento di critica del reale corso della storia islamica. E’ il mito stesso che si fa archetipo e si incarna nella Storia e nel caleidoscopio della contemporaneità. L’ayatollah Khomeini incitava i giovani iraniani al martirio e alla rivolta contro lo Yazid del nostro tempo, lo Shah, invitandoli a divenire epigoni di Hussein e, ancora una volta, è stato il culto del martirio che ha permesso ad Hezbollah di convincere il primo kamikaze a farsi saltare in aria nel 1983 nella lotta contro gli invasori americani. Kermani non manca di ricordare come ancora oggi in Iran l’idea della morte per fede giochi un ruolo precipuo nella lotta mediatica per il potere che non può essere sottovalutato. La prosa fresca e metaforica di Navid Kermani ricollega abilmente eventi lontani e apparentemente sconnessi, quali Kerbala e l’11 settembre, evidenziando come l’estetizzazione della battaglia, di per sé un artificio proprio anche della fantascienza che d’altronde ha preconizzato Ground Zero persino nel nome, ha fatto sì che i giovani attentatori si vedessero, più che come passeggeri che salivano su un aereo, come eroi che scendevano su un campo di battaglia, attori di un grande e drammatico Grande Fratello che richiamava gli atti eroici dei Compagni del Profeta compiuti nel VII secolo.
Nietzsche e il terrorismo – Secondo Kermani, a bordo dei Boeing c’era anche un altro invisibile clandestino: Friedrich Nietzsche. Uno dei punti focali del libro, che ne attesta l’originalità rispetto alle altre numerose opere sull’11 settembre, consiste nella teoria secondo cui l’attentato alle Twin Towers costituirebbe una nuova forma di terrorismo, legato, più che al radicalismo islamico o al terrorismo politico, ad un epifenomeno della contemporaneità, enfatizzato dalla globalizzazione dell’informazione: “Guardando sia gli obiettivi colpiti, che la generalità del nemico, prende forma una nuova dimensione del terrore, che proprio per questo ho cercato di chiamare nichilista, poiché la parola stessa esprime la massima astrazione possibile, vale a dire il niente. Il nemico non viene più percepito soltanto come un governo o un esercito concreto; la violenza stessa è scivolata verso l’astrazione, come nel caso degli attentati all’antrace o degli avvertimenti di Bin Laden, che da ora in avanti possono colpire dovunque ogni singolo americano. Gli attentati si sono rivolti contro una grandezza simbolica o astratta che è stata inscenata per un pubblico composto da diversi miliardi di persone, prevedendo anche un intervallo di dieci minuti, nel quale le telecamere hanno potuto essere posizionate”.
Il monumento al nulla – L’onnipresenza mediatica e, nel contempo, la smaterializzazione di quello che è diventato il terrorista par excellence, ha contribuito a trasformarlo in un fantasma del nichilismo, un ologramma del terrore in grado di colpire ovunque e in nessun luogo, scagliando proclami catodici carichi di un artificioso simbolismo che nella sua intelligenza estetica riesce a celare la doppia faccia del terrorismo postglobale. Tutto ciò è possibile poiché, per Kermani, “diversamente da quanto è stato sempre sostenuto in riferimento ai presunti attentatori, il vero camuffamento non era costituito dagli abiti e dallo stile di vita occidentale, quanto dalle galabie, dalle barbe e dai sentimenti arcaico-religiosi, sovrapposti sul loro stile di vita moderno” di giovani facoltosi e radicati nella cultura filoccidentale del contesto di provenienza. Si tratta dunque di un fenomeno moderno che si serve di strumenti propri dell’epoca della globalizzazione, calando il velo della religione e della tradizione su idee di ispirazione sovranazionale come il nichilismo che, nella storia e nei diversi paesi, ha assunto forme disparate ma sostanze uguali. Vengono subito in mente i kamikaze giapponesi, fruitori della letteratura occidentale intrisa del nichilismo nietzschiano e attratti da quella che Marguerite Yourcenar definisce come la Visione del vuoto. Anche i giovani terroristi di al-Qaeda, così come i seguaci delle sette nipponiche o degli estremisti cristiani, sono caduti vittime di una concezione superficialmente estetica, take-away, della religione. Un animale – l’uomo – che, senza bisogno di leggere Nietzsche riga per riga, sente, nell’istinto dei suoi impulsi, una vocazione al nulla, a quel vuoto dell’irrazionalità al quale Gabriele d’Annunzio avrebbe voluto dedicare un tempio nel suo Vittoriale.
Ironia, unica arma – Nell’offrire la sua originale interpretazione dei tragici eventi di Manhattan, ai quali si aggiungo i successivi atti terroristi, Kermani rivela una certa sottile ironia. Ciò, ad esempio, emerge quando descrive alcuni leader di al-Qaeda e le paradisiache delizie ultraterrene, in particolare le famose 72 sempre vergini fanciulle da loro promesse agli aspiranti kamikaze, tracciando un ritratto tragicomico di tali personaggi. In particolare nel caso di Tamin al-Adnani, a lungo braccio destro di Bin Laden e reclutatore dell’organizzazione negli Stati Uniti leggiamo: “Al-Adnani non aveva l’aspetto del combattente, era minuto, tarchiato e grassoccio e, quando indossava l’abbigliamento afghano, esercitava un effetto davvero comico. La ricompensa ultraterrena di cui lui parlava è frutto dei tabù maschili che assumono un ruolo per così dire catartico delle loro fantasie erotiche represse. Al-Adnani entusiasmava il suo auditorio con i suoi discorsi sulle giovani ragazze che, dopo ogni atto sessuale, ritornavano nuovamente vergini. Adnani tuttavia non ebbe posto in quel paradiso da lui tanto esaltato: morì colpito da infarto nel 1990, nel bel mezzo di una visita a DisneyWorld a Orlando, Florida. La scena non poteva essere più topica: l’uomo che come pochi aveva contribuito alla diffusione del culto del martirio muore a DisneyWorld”.
L’immagine: la copertina del libro di Navid Kermani.
Matteo Tuveri
(LucidaMente, anno III, n. 28, aprile 2008)