Un giorno un uomo decise di partire per un lungo viaggio di esplorazione: voleva conoscere com’era fatta la sua regione. Una fresca mattina risolse di allontanarsi, ma nessuno lo volle accompagnare, né i suoi amici, né le sue donne. Sellò un cavallo: era bianco, pulito e strigliato così tanto che sembrava lucente.
In quel giorno di sole, in cui attraverso i colli si vedeva l’orizzonte, scorse dall’alto della sua città chilometri di verde. La vista sembrava incredibile a lui che non aveva mai visto del verde, delle campagne, se non nei parchi della sua solitaria città.
Aveva più di vent’anni, forse trenta, ma non si era mai separato da dove era nato.
Nessuno della città s’era mai allontanato da essa. Del resto, perché i suoi abitanti avrebbero dovuto farlo?
In quel luogo c’era tutto. Mare, sole, montagne, neve, zoo, scuole, ospedali, lavoro per ogni cittadino. Il cibo veniva prodotto nelle serre. L’acqua la prendevano dai ruscelli.
Gli abitanti di quella solitaria città non volevano lasciarla, come se avessero avuto paura che, al ritorno, non l’avrebbero più trovata. Nessuno di loro sapeva cosa c’era poco più in là delle mura; scorgevano foreste e animali strani, che non erano cani e nemmeno gatti.
Qualche vecchio contadino raccontava che da giovane, quando usciva di nascosto, li aveva visti da vicino. Diceva che avevano denti aguzzi e zanne forti. Erano carnivori, cioè mangiavano la carne degli altri animali. Come facevano i cani o i gatti.
Nessuno credeva a questa storia, tranne che lui, l’uomo che partì dicendo che voleva esplorare la boscaglia fuori dalle mura.
Mentre usciva, i bambini corsero a salutarlo, ma le vecchie piangevano, piangevano e gli dicevano di non partire. Ma dei suoi amici non c’era l’ombra.
“MALEDETTI,” considerava rabbiosamente “mi avevano promesso che sarebbero venuti con me!”.
Ma loro pensavano a tutt’altro. Pensavano alla loro stabilità, alle loro case, alle loro attività, che non volevano lasciare per partire verso l’ignoto.
E così uscì solitario, come un ambasciatore parte per andare verso un altro maniero a dare la notizia di una guerra. Ma castelli, nella regione, non ce n’erano.
Cavalcava vicino al fiume, vedeva pesci nuotare controcorrente e creature grandi, più grandi di un uomo, più pelose di un uomo, che pescavano con gli artigli, e lui non osava avvicinarsi a loro per paura che lo azzannassero.
Poi, li vide. Gli animali di cui parlavano gli anziani, quelli con i denti aguzzi. Erano neri e bianchi, viaggiavano in branchi, ringhiavano come i cani quando hanno la rabbia, e mentre lo puntavano schiumavano.
Il cavallo, che non poteva sapere cosa fossero, se non per un istinto ancestrale, si imbizzarrì fra i morsi delle fiere e prese a nitrire, mentre l’uomo cadde a terra.
In quell’istante i suoi amici erano usciti a cavallo, pentiti di non averlo accompagnato. Corsero veloci seguendo le tracce lasciate nella radura, videro anche loro l’animale che pescava e che con una mano sembrava salutarli, ma corsero e corsero sui loro cavalli neri fino a raggiungere uno spiazzo dove c’erano i vestiti ridotti a brandelli dell’uomo, ma del loro amico neanche l’ombra.
Mentre erano lì che cercavano, comparvero anche a loro gli animali che avevano banchettato con il corpo del loro amico.
Provarono a scappare, fecero la strada all’indietro, ma più loro correvano, più le belve, inseguendoli, procedevano ancora più veloci: quando arrivarono davanti alle porte della città le trovarono irrimediabilmente chiuse.
Come nei loro peggiori incubi, rimasero fuori dalla soglia.
I cavalli impazzirono, si liberarono dai loro cavalieri e corsero via. Il manipolo di uomini cercò invano di resistere agli animali e provarono a gridare alla gente che aprisse i cancelli.
“Li avevamo avvisati” mormoravano intanto i vecchi dall’interno della città.
(Lupi)
Simone Riva
L’autore di questo racconto, che naviga tra i venti e i trenta anni, vive e lavora in provincia di Bologna.
IL COMMENTO CRITICO
Con questo breve quanto intenso racconto, l’autore ci pone davanti a una delle scelte fondamentali dell’uomo: trascorrere un’intera vita all’interno delle proprie sicurezze (qui rappresentate dalle mura della città) oppure abbandonarle per affrontare l’ignoto, l’incertezza contro la certezza. Il nostro protagonista sceglierà l’incertezza, abbandonerà tutto in cerca di nuovi mondi e di nuove realtà, ma, come abbiamo visto, questa scelta si rivelerà purtroppo fatale.
Una partenza solitaria – L’avventura del nostro eroe è difficile sin dall’inizio. Le persone che lo conoscevano meglio, i suoi amici, le sue stesse donne, lo hanno abbandonato. Persino al momento della partenza non gli sono stati accanto. Segno che le decisioni importanti, e le azioni mosse da queste, si prendono e si portano avanti da soli. Nessuno può influenzarci, nemmeno le persone che amiamo di più. Neanche il loro amore (in questo caso la vigliaccheria) può farci ritornare sui nostri passi. La decisione è presa, occorre solo essere fedeli a noi stessi.
L’incontro con il selvaggio – Davanti a lui trova cose mai viste, natura e animali selvaggi. Alcuni pacifici, anche se dall’aspetto terrificante, come gli orsi che pescano beatamente nel fiume, estranei a ciò che accade loro intorno. Altri più pericolosi, come i lupi, che incarnano da sempre le bestie selvagge, portatrici di morte e distruzione. E anche qui si dimostrano tali. Attaccano prima un cavallo, terrorizzato, e poi l’uomo, ormai inerme davanti a quella forza incontrollabile della natura. Tutto ciò ci mette davanti al fatto che nessuno di noi, con tutta la propria audacia e il proprio coraggio, può affrontare da solo ciò che non conosce e per cui quindi non è preparato, anche se la mente e lo spirito lo hanno spinto arditamente a farlo.
Un pentimento tardivo – Proprio i suoi amici, pentiti di averlo abbandonato, decidono di seguire le sue orme e di essergli accanto in questa avventura dal sapore epico. Una decisione che arriva però troppo tardi: si troveranno davanti “uno spiazzo dove c’erano i vestiti ridotti a brandelli dell’uomo, ma del loro amico neanche l’ombra”.
Neanche loro torneranno a casa vivi, i lupi ancora affamati li attaccheranno, e proprio davanti alla porta della città, simbolo di salvezza, s’imbatteranno con la morte. La stessa che poco tempo prima aveva già preso il loro prezioso amico.
Quale messaggio? – L’intero racconto ondeggia tra l’ammirazione per chi compie scelte audaci e una “lezione morale” di invito alla prudenza. Tuttavia, l’intero svolgimento, la struttura, la narrazione, lo stile del racconto, ci conducono entro un’atmosfera straniata, tra Kafka e Buzzati. Misteriosi brividi attraversano la storia e qua e là fa la sua comparsa il perturbante. Non del tutto decifrabili le figure dei bambini, delle anziane donne, del cavallo bianco contrapposto ai cavalli neri, dei vecchi, degli stessi amici: un alone di ambiguità e di mistero avvolge tutto, come in un sogno, mentre le atmosfere divengono sempre più metafisiche e crudeli.
L’immagine: particolare de I cacciatori nella neve (1565, Vienna, Kunsthistorische Museum) di Pieter Bruegel il Vecchio (Breda, 1525/30 – Bruxelles, 1569).
Loretta Scipioni
(LucidaMente, anno III, n. 11 EXTRA, 15 febbraio 2008, supplemento al n. 26 dell’1 febbraio 2008)