Da sabato 26 gennaio a domenica 10 febbraio 2008, presso la Pracownia Galeria, Emilii Plater 14, di Varsavia: esposizione collettiva Different looks. Arte contemporanea italiana a Varsavia, a cura di Antonietta Campilongo. Sull’evento presentiamo due contributi dei critici Pier Maurizio Greco e Francesco Giulio Farachi.
La Pracownia Galeria, elegante e prestigiosa vetrina della capitale polacca, ospita la rassegna Different looks. Arte contemporanea italiana a Varsavia, a cura di Antonietta Campilongo. In esposizione, una selezione di opere di artisti italiani che operano nel campo della pittura, della scultura, della fotografia e dell’arte digitale.
L’obiettivo della mostra è quello di offrire al pubblico un’ampia e variegata testimonianza del panorama artistico contemporaneo, attraverso linguaggi e percorsi di ricerca paralleli in grado di esprimere, nel loro insieme, le tensioni e le oscillazioni dei “diversi sguardi”.
La percezione visiva e l’immaginazione costituiscono le funzioni primarie che sottendono il processo creativo. E ciò significa che il sistema visivo svolge un’operazione “attiva”, poiché le conoscenze precedenti e il vissuto dell’individuo confluiscono nella creazione di un’immagine. Operando una selezione, estraendo di volta in volta informazioni, e rimontandole attraverso un procedimento individuale che costituisce infine il “modo” in cui l’artista si esprime.
Citando Ernst H. Gombrich: “Nella rappresentazione visiva i segni tengono luogo di oggetti del mondo visibile e questi non possono essere resi in sé. Ogni immagine, per sua stessa natura, resta un richiamo all’immaginazione visiva, ha bisogno d’essere integrata, d’essere compresa”.
Appare evidente che un’opera d’arte sollecita anche nel fruitore una lettura soggettiva, mediata e interpretata attraverso strumenti e sensibilità sempre diverse.
Davanti all’opera, lo sguardo dell’artista e lo sguardo di chi osserva si fronteggiano, s’incrociano in un istante sospeso. E la traiettoria che li unisce si sostanzia di memoria, passione, amore, odio, indifferenza. In quell’attimo si compie il rito del riconoscimento o del rifiuto, della comprensione o del dissenso. Si spalancano porte e finestre a mostrare il volto o il manto, stratigrafie di materie distese, fotogrammi veloci per catturare segmenti.
E a volte è un vero e proprio shock. Soprattutto quando la visione offerta si discosta dal modo ordinario e colpisce sotto la “cintura”; quando con un guizzo veloce attraversa il supporto e mette in discussione la morale corrente, le convenzioni, le ideologie.
Osservata da questa angolazione, l’espressione artistica scardina i sistemi tradizionali, scava nel tessuto culturale, impossessandosi e manipolando, senza limite, codici e alfabeti.
Il tema della mostra si concentra, quindi, sull’unicità della visione; il viewpoint, quel filtro che interviene nella realizzazione dell’opera, all’interno di un contesto storico e ambientale, lasciando segni unici nel modo di percepire e tradurre estratti di realtà oggettiva o modulazioni del suo azzeramento.
Dal ritorno alla figurazione alle persistenze dell’astrattismo, una ricognizione significativa sulle diverse identità che attualmente si confrontano nell’ arte italiana.
Pier Maurizio Greco
Credo che l’arte contemporanea oggi più che mai sia obbligata a inseguire e perseguire le categorie della differenza, ma nel senso di fare degli elementi distintivi ed univoci non tanto termini e mete di ricerca, quanto piuttosto presupposto sistematico e punto di partenza. Sarà che la vera sfida di questa nostra epoca sta in tutto quanto ci fa vivere su un’affilata condivisione di valori e sistemi di vita, in una irrisolta contesa fra la più piatta ed impersonale omologazione e le millanta opportunità di realizzazione individuale e collettiva. La modernità è un sistema globale di relazioni, che produce una profusione di spinte ed energie creative quanto mai nelle età precedenti. Ma che, proprio per questo, fa pericolosamente correre il rischio dell’indifferenziazione e dell’indifferenza, dell’assuefazione e del conformismo, e che produce di riflesso un innalzamento della “soglia d’interesse”, per cui solo più intensi e via via più straordinari stimoli sono in grado di accendere attrattiva e coinvolgimento nelle nostre sensibilità narcotizzate.
Come è perciò forse ovvio, anche tutto l’insieme di strutturazione scientifico-estetica, creativa e formativa che costituisce il sistema dell’arte, vero e proprio sismografo di ogni sussulto nei fenomeni umani, già da tempo registra i bisogni e le aberrazioni di questo complesso presente, e non mi sembra affatto per caso che ancora non passino di moda l’esaltazione per l’originalità dell’esito, il riconoscimento di valore per la novità spettacolare e fine a se stessa, in generale l’interesse per un’arte di eccentricità e singolarità, quando non di pura provocazione e stravaganza, che attribuisce dignità d’eccellenza anche alla smaccata ingegnosità, concettuale e materiale, della realizzazione. L’imperativo parrebbe essere più “impressionare” che “partecipare”, e più vellicare l’istinto che suscitare il sentimento. Ma è un discorso lungo articolato e barboso, non adatto a questa occasione; per cui, senza rammarico, lo glisso.
Ecco però che fra le molteplici accezioni della differenza, richiamata nel titolo di questa mostra, la più intrigante reputo proprio essere quella che fa intravedere l’intento sempre rivoluzionario e sovvertitore che si dibatte in ogni artista, finché almeno egli mantiene puro il suo operare ed il suo sentire. Gli sguardi differenti sono tali in quanto scelgono una connessione alternativa con cui esaminare la realtà, un modo inconsueto e personale di dialogare con il vivere comune e l’universalità.
Che, poi, è ciò che tutti noi vogliamo dall’arte: la bellezza ed armonia di un’esecuzione (termine che scelgo appositamente, perché implica l’aspetto materiale e quello immateriale, l’unicità in cui si concretizzano) che proprio attraverso la sua bellezza ed armonia ci spieghi meglio gli affanni delle nostre storie, ci riveli una nuova prospettiva da considerare, ci dia l’introvabile punto di vista a partire dal quale diventi magari più facile capire il mondo.
Questo gruppo di artisti italiani, le loro opere che valicano, in qualche caso per la prima volta, i confini nazionali, sono l’espressione di un’arte giovane e dinamica, attenta alle potenze ed alle resistenze della contemporaneità, ma al tempo stesso felicemente incapace di accantonare una tradizione di inventiva, capacità creativa, sensibilità percettiva, che è un vero e proprio abito mentale e pratico, un ordine di valori ed attitudini e applicazioni, che, nella molteplicità dei linguaggi e delle tecniche, costituisce la vera essenza della differenza.
Francesco Giulio Farachi
L’immagine: particolare della locandina della mostra.
Pier Maurizio Greco e Francesco Giulio Farachi
(LucidaMente, anno III, n. 10 EXTRA, 15 gennaio 2008, supplemento al n. 25 dell’1 gennaio 2008)