Viaggio tra veri e finti sprechi e la Città metropolitana: alcune considerazioni della sezione Filippo Turati di Bologna del Partito socialista italiano
Con la riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 erano state poste le basi per un nuovo modello di Stato. Quello che è mancato, in seguito, è stata una volontà piena della classe politica di realizzare concretamente quanto previsto dal dettato costituzionale; ciò ha palesato una sostanziale incapacità della classe dirigente di giungere a una piena attuazione di una autentica riforma dell’architettura istituzionale del paese che coinvolgesse tutti i livelli istituzionali esistenti.
Gli obiettivi principali di questa riforma dovevano essere: l’attuazione materiale di un sistema realmente federalista, sia da un punto di vista del governo periferico, sia da un punto di vista fiscale; la differenziazione nelle forme di governo delle autonomie locali al fine di superare quell’uniformità che genera (tuttora) sprechi e inefficienze e che ha caratterizzato la recente storia repubblicana; razionalizzare la pubblica amministrazione per eliminare i reali sprechi di danaro pubblico.
La battuta d’arresto della riforma federalista, tuttavia, non può e non deve essere addebitata esclusivamente a una questione meramente politica. La crisi dei mercati finanziari, il conseguente clima di incertezza creatosi all’interno del sistema economico e finanziario e, per finire, la crisi del debito sovrano che attanaglia non solo la realtà italiana ma buona parte del mondo occidentale hanno contribuito, nell’ultimo lustro, a un rilevante rallentamento della già debole spinta riformatrice del sistema politico.
La congiuntura negativa ha portato, per ciò che concerne il governo del paese, a una repentina spinta neocentralista in controtendenza alle intenzioni del legislatore di inizio secolo. Risulta logico che una gestione centralizzata possa migliorare, nelle emergenze, l’efficienza di un sistema poiché vi sono meno soggetti coinvolti nei processi decisionali, ma, al contempo, vanno analizzate attentamente le decisioni emergenziali di un governo tecnico sostenuto da una larga maggioranza in Parlamento, ma che soffre di una “afonia” causata dall’incapacità di svolgere quell’attività che gli viene demandata attraverso il voto democratico: operare delle scelte con l’esercizio del voto parlamentare.
Nello specifico, l’intervento del governo nazionale in relazione al depotenziamento e quindi alla sostanziale abolizione delle Province risulta indicativo. Queste realtà territoriali, le quali nella maggior parte dei casi si trovano già da anni in una situazione finanziaria critica dovuta agli sperperi di risorse degli ultimi venti anni e sopravvivono grazie all’esercizio delle competenze delegate dalle Regioni, stanno subendo, da parte del governo tecnico attualmente in carica, una razionalizzazione forzosa mirata però all’eliminazione del solo apparato politico la cui spesa incide in minima parte su quelli che sono considerati dai più gli sprechi della cosa pubblica. Ad aggravare il quadro non esaltante, non si può nascondere che questi interventi che dovrebbero essere compiuti con una riforma Costituzionale sono realizzati con un semplice decreto legge che il Parlamento è obbligato ad approvare acriticamente stante il periodo emergenziale.
Sulla scorta di ciò, si sta anche ripensando a un nuovo modello di Città metropolitana e anche la città di Bologna, con il suo territorio provinciale, risulta naturalmente coinvolta nell’opera di revisione della disciplina degli enti metropolitani. Tuttavia, la proposta sostenuta dai più (soprattutto dal sindaco di Bologna e da tutto l’apparato del Partito democratico) è quella che porterebbe alla creazione di un ente di secondo livello a elezione indiretta, sulla falsariga delle quasi defunte Comunità montane, e non un ente esponenziale eletto a suffragio universale come ancora previsto dalla Costituzione, dal Testo unico degli Enti locali e dalla legge delega sul federalismo fiscale che prevede una disciplina transitoria che ha superato le previsioni del Testo unico e mira all’istituzione dell’ente metropolitano.
In questo ambito, il vero spreco risiede nel mantenimento delle strutture comunali inalterate sia dal punto di vista delle competenze sia dal punto di vista dell’organizzazione stessa dei Comuni che dovrebbero essere parte integrante della Città metropolitana. Se l’obiettivo è mantenere intatte le strutture organizzative dei Comuni e quindi i poteri dei sindaci e non procedere alla trasformazione dei Comuni in municipalità trasferendo le competenze principali (governo del territorio, ambiente, lavori pubblici e sviluppo economico dell’area vasta) all’ente metropolitano, difficilmente si comprende l’atteggiamento degli amministratori locali, in larga parte appartenenti ai partiti che attualmente stanno sostenendo il governo Monti, che si comportano come se militassero in realtà politiche che si oppongono all’esecutivo in carica. Così come mal si comprendono le critiche alla centralizzazione fiscale e al contempo la richiesta di risorse per fare fronte ai dissesti degli enti locali, provenienti sempre dagli stessi soggetti, quando non vi è alcuna volontà di eliminare i veri sprechi come nel caso della Città metropolitana.
In ragione di tutto ciò la proposta di modifica della disciplina della Città metropolitana e la sostanziale abolizione delle Province mediante una mera eliminazione degli organismi rappresentativi con un taglio ai soli costi della democrazia risultano irricevibili. Le proposte in discussione, infatti, non sono altro che fumo negli occhi e propaganda demagogica che non porteranno alcun beneficio alle casse dello Stato e di conseguenza alle risorse degli enti locali per l’espletamento dei servizi primari da erogare ai cittadini. Solo con una “vera” Città metropolitana e una “vera” riorganizzazione delle competenze si potranno eliminare gli sprechi “veri” e uscire dal vortice della crisi.
In una visione di insieme e non limitata ai casi specifici analizzati in questa sede, il giusto percorso da intraprendere per giungere ad una riforma globale del sistema delle autonomie locali richiederà obbligatoriamente un momento di riflessione e confronto tra tutti i soggetti coinvolti – Stato, Regioni, Province, Comuni – nel processo riformatore, al fine di ridisegnare tutti i livelli istituzionali eliminando sovrapposizioni e duplicazioni di competenze, accorpando gli enti sottodimensionati e scorporando quelli sovradimensionati, nonché una drastica riduzione e un successivo riordino di tutti gli organismi strumentali statali e locali.
La Sezione Filippo Turati di Bologna del Partito socialista italiano
(LucidaMente, anno VII, n. 75, marzo 2012)
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