Atmosfera radioattiva. Il punto di non ritorno è il primo romanzo di fantascienza di Giuseppe Mazzilli, in preparazione presso le nostre edizioni (collana La scacchiera di Babele). L’opera riesce ad affrontare, tra avventure e ironia, tra costruzioni fantastiche e ben precise nozioni scientifiche, problematiche sociopolitiche e ambientali che spetteranno forse anche al futuro, ma che comunque certamente viviamo già oggi, nel presente.
Offriamo come “assaggio” al lettore uno dei punti più spettacolari e tragici del romanzo: una tremenda, grandiosa catastrofe.
In meno di mezz’ora la lava arrivò e cominciò a premere contro la cupola. Nel frattempo, a qualche chilometro, si distingueva ancora lo sbuffo radioattivo e luminoso, sempre più alto, provenire dalla centrale nucleare. Evidentemente il suo nucleo radioattivo stava inabissandosi. I due fenomeni, lo sbuffo luminoso e radioattivo della centrale e il lento scorrere del fiume incandescente, erano sicuramente concatenati e si stagliavano nel cielo buio come in un macabro concerto.
“Tiene!” soffiò speranzosa Camrhia. “La cupola sta tenendo!”
Jus imbracciò il binocolo. “Forse sarà meglio di no!”. Le parole gli uscirono vibrando. Le passò il binocolo.
Lo spettacolo, all’interno della cupola, era tremendo. La protezione teneva ma il calore sembrava racchiudersi tutto all’interno. Col binocolo si distinguevano i corpi prendere fuoco come per autocombustione. Alcuni esplodevano. Tutti correvano nella direzione opposta a quella di arrivo della lava. Ma servì a poco perché era molto fluida e in meno di un’ora circondò l’intera cupola. In piccole zone la protezione non teneva e faceva passare, per pochi secondi o minuti, del fluido magmatico che investiva case e impianti, da cui partivano scintille e alte lingue di fuoco. In poco tempo l’interno divenne un inferno. Un enorme rogo. La cupola si illuminò direttamente dall’interno ed espanse la sua luce come un enorme abat-jour.
Ad alcuni chilometri sulla loro destra, a ridosso della montagna di osservazione, si intravide un polverone; una striscia di polvere che avanzava. “Animali! Bestie in preda al panico. Insetti e… mi sembra di distinguere anche dei topi. Se dovessero arrivare qui è meglio non farsi cogliere: ci schiaccerebbero”.
Osservando meglio, notarono degli insetti, anche in cielo, volare in tutte le direzioni. Infatti la cupola, con tutti i rifiuti prodotti e gettati all’esterno, era un ottimo punto di raccolta di animali. Mentre volavano, le loro elitre, sottili e vulnerabili, prendevano fuoco spontaneamente; istintivamente sbattevano più rapidamente i moncherini e le strutture alari restanti ma senza produrre portanza. Dopo un po’ si schiantavano sul terreno.
Poi si cominciarono a distinguere altri polveroni, altre migrazioni di insetti e ratti in massa.
Fortunatamente, nessuna prese la direzione della loro postazione.
D’improvviso l’avanzata della lava si arrestò. Ma durò poco.
Nel frattempo la centrale nucleare fece attirare l’attenzione su di sé: con un boato assordante e un tremore, che investì anche la loro postazione, ebbe inizio il suo sprofondamento. Il nucleo, anche se antico di migliaia di anni, era ancora ad altissima temperatura e fuse la terra e le iniezioni di cemento sotto di sé e s’inabissò; dal foro partì una spaccatura che cominciò a dirigersi verso il vulcano. Una ferita si aprì nella terra. A quel punto il tremore nel terreno divenne continuo. La ferita si allungava sempre più; diventò mobile, distinta, rossa e luminosa e avanzava verso il vulcano e dal suo interno salivano delle vampate festose. Le ondate di calore giunsero fino a loro. Le goccioline di sudore si distinguevano attraverso i caschi, resi luminosi dai riflessi delle fiamme. Il terrore immobilizzò i due. Il tremore della terra a tratti si attenuava per riprendere con maggior vigore.
Secondi interminabili.
E con l’ampliarsi di quella frattura nel terreno, Jus e Camrhia avvertirono che neanche dal loro posto di osservazione, distante una trentina di chilometri, erano più al sicuro. Centrale nucleare e monte Fuji distavano oltre 20 chilometri, ma in poco più di dieci minuti la spaccatura coprì l’intero divario e la terra iniziò a tremare tutta. Dalla centrale ebbe inizio un lancio di rocce fuse verso il cielo, mentre dal vulcano la lava riprese il suo cammino, iniziando a salire di livello sul contorno della cupola.
I due presero coraggio e si allontanarono in cerca di un riparo dietro le rocce e da lì videro: la protezione elettromagnetica della cupola a tratti si dissolveva, ma nel giro di pochi minuti scomparve del tutto e il magma, fra spruzzi e flutti, di colpo si abbatté come un’onda del mare sulla città ormai scoperta, come un corpo senza pelle.
Il centro urbano, con le sue case, macchine, impianti e uomini, scomparve letteralmente, inghiottito dalle placide ondate rosse.
(da Giuseppe Mazzilli, Atmosfera radioattiva. Il punto di non ritorno, Prefazione di Rino Tripodi, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: elaborazione grafica dello stesso Giuseppe Mazzilli.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno II, n. 9 EXTRA, 15 dicembre 2007, supplemento al n. 24 dell’1 dicembre 2007)