Secondo il critico Salvatore Della Capa, “la ricerca interna, totalmente orfica, di Massimo Sannelli nella sua raccolta Nome, nome (Introduzione di Marina Pizzi, collana Le invetriate, Edizioni Il crocicchio/inEdition editrice, pp. 64, € 11,00) non riguarda esclusivamente la parola. Al contrario, il poeta tenta di tirare fuori dall’interno di sé una materia, di costruire da un’assenza esterna una presenza interna, da proiettare nella propria vita. Questa figura ricercata è una madre, ma non solo; si avanza a tastoni cercando il significato (e come le istruzioni) di essere figli, di essere giovani, di essere uomini, di sentirsi vecchi. E la ricerca linguistica segue di pari passo questo spaesamento. La sintassi e la grammatica partono da una situazione di assoluta frammentazione e decostruzione, come dei pezzi di puzzle buttati alla rinfusa, che necessiterebbero di ordine”.
Della Capa conclude con una fondamentale annotazione formale sulla poesia di Sannelli: “La normale successione sintattico-lessicale della frase è persa come la capacità di orientarsi dentro sé tra passato e futuro. Al poeta spetta la ricostruzione fallimentare, ma al lettore in verità”.
E aggiunge Marina Pizzi nella propria Introduzione: “L’apparente esilità dei versi non tragga in inganno: la pavimentazione è davvero solida, data, costrutta sapientemente: voce angelicata, corpo di terra, estremo desiderio di cielo e di altri, negli altri, percorsi. La magnificenza della vita o del possibile s’intuisce quale fonte amata amante di speranza nonostante il rischio del divino sia quasi accanto, un po’ più vicino”.
Dalla raccolta, certo di non facile lettura, eppure affascinante e musicalissima, ecco tre anteprime.
dov’è la madre diversa, parte,
tra i figli sopportare questa
solitudine lunga, allora è fatto
sfregio; dietro è fatta
esperienza e luce; certo è giglio.
chi credete io sia? ti aiuto, spiega, con
la mancanza fiera, aiuto – le roi
dissociarsi, le roi urlare, così
in fretta anche, dalle due mani,
separare, oh, sassi, strumenti, colpire:
il popolo a cui si è fatto; e fa
vento innocente questo, nei
rumori; ché corre vento.
“la notte è meglio
dormire”, anche tra
molte diverse molte
volte, cuccioli, bestie,
bestie –
avanguardia avanguardia
spinta, senza gli studi
(gli stridi acuti, ecco)
acuti, che mortificano –
dov’è la madre diversa,
tra i figli. Che significa
i colpi colpire, questa
sopportata
le pause e non morire,
pochissimo alta, tra i rumori.
già inferire è piaciuto,
anzi travagliato questo
perfettissimo Cristo. E
intervenire
no, se vive,
“a chi ne scrivo?” io, che bene
senti, intendi bene.
agli occhi sola polvere molta, negli
angoli e foglie, invase da
la polvere; e scale invase; esterno
e interno uniti – la sorella è sui piedi,
è alta.
il sonno continuato parte ancora, anzi
è equilibrio. mi tieni? Innocente questo, nei
rumori, è fatto, alti; migliore vento corre.
e giusti occhi sono: in viso, come offesi.
(da Nome, nome di Massimo Sannelli, Introduzione di Marina Pizzi, Edizioni Il crocicchio)
L’immagine: particolare di Visioni dell’Aldilà: Il paradiso terrestre. Ascesa all’Empireo (olio su tavola, 1490 o 1491, Venezia, Palazzo Ducale) di Jeroen Van Aeken, meglio noto come Hieronymus Bosch (’s-Hertogenbosch, 1450-1516).
Claudia Mancuso
(LucidaMente, anno II, n. 17, maggio 2007)