Un titolo dall’impatto vigoroso, indiziario di una interessante propensione dell’autore ad ascoltare le aritmie del tempo e a trasporle come scansioni private della realtà, ponendo l’accento sulle immancabili disastrose cadute dell’esistenza, schianti che si prefigurano quasi come segno della prossimità di un arresto cardiaco, sincopi a seguito delle quali, senza un motivo apparente, il cuore riprende pur sempre a battere
Stiamo parlando di Misura del tempo (Luigi Pellegrini Editore, pp. 88, € 8,00), elegante silloge poetica del giovane esordiente Marco Gatto. Con tale titolo credo si voglia intendere l’assenza della misura, ovvero l’impossibilità stessa della misurazione, scardinando una falsa idea di linearità del Tempo.
La misurazione in Gatto è, infatti, scansione di un tempo spesso frammentato e disgiunto nelle sue segmentazioni sincopatiche, che prevede la rottura come elemento di discontinuità, come insanabile lacerazione, come frammento o lacerto appunto, di un Io imploso, definitivamente squarciato e irrimediabilmente divenuto altro da sé.
Talvolta, nei momenti più tragici, aleggia quasi un senso di straniamento, un guardarsi di spalle, quasi un vedersi vivere, una materializzazione di possibili tic nervosi (ai quali l’autore fa spesso riferimento), che vale a sottrarsi dalla follia dell’horror vacui. Pertanto, la poesia di Gatto è un’autentica ed efficace espressione del dolore umano, vissuto e trasposto nella sua accezione più nobile, da chi sa bene quanto discreto e silente sia “l’urlo più vero” (p. 60), con la raffinatezza anche formale, del non esibito, del condiviso. Nell’assenza di un affetto caro, la cui voce mancante è peraltro sempre insistentemente ricercata nella dimensione onirica (“Questa mattina ti ha portato il vento / dei sogni: ho ascoltato la voce / di mia madre chiamarti e mi sei apparsa / nel fruscio della prima luce”, p. 63), Gatto sembra esprimere la consapevolezza effettiva della presenza dell’intangibile, nelle diverse accezioni della qualità ontologica, nella percezione di un mutamento di forma ma non di essenza; forte dell’eredità montaliana degli Xenia, forte della propria inclinazione poetica e di una spiccata sensibilità di uomo e d’artista. Sensibilità a causa della quale egli ha insistentemente “cercato / l’abbraccio del poeta che unisce / e disancora il peso / di essere chiaro nell’identità” (p. 20), alla ricerca di una potente sustanzialità. Da poeta che sa bene che la sua arte può soltanto invano tentare di sublimare l’immagine di “un padre / che si allontana dalla culla” (p. 27), senza assegnare una nemesi, inasprendo, al contrario, la consapevolezza dell’amaro destino degli uomini, Marco Gatto guarda alla Poesia, dunque, come viatico.
In un’esistenza in cui la letteratura da sola non può far fronte ai bisogni dell’uomo moderno, essa non va intesa in sostituzione della vita ma come suo completamento. In questa chiave credo si inserisca la necessità, così presente nell’autore, di profondere le proprie energie intellettuali in una militanza, mai scorporabile dal significato politico – ma non necessariamente legata solo e soltanto all’attività partitica vera e propria -, che ha nello scrivere e nella disposizione alla denuncia e all’impegno sociale la sua espressione più pura: “cercano vittime per questa terra / di nessuno i ministri, i mafiosi, / la passerella solita di messi / e santoni, discute di faccende / culinarie un signore arrivato / alla fama senza fame da terzo mondo” (p. 66); e, ancora (valga questo anche come saggio dell’abilità versificatoria di Gatto): “Non si capisce la criptica norma / che vuole nel cestino ogni dominio / di anarchia, ogni segnale eco / di un passato che è strame dell’insipida / richiesta di risposta, che abolisce / il segno dell’impegno con lo sforzo / immane di nascondere i propositi” (p. 36).
Nell’invidiabile privilegiata condizione di “giovane vecchio”, dunque, smaliziato ma speranzoso, il poeta raccoglie e converte le proprie energie, non in un ingenuo attivismo, bensì nel compimento di un lucidissimo, utilissimo resoconto di viaggio. La poesia di Gatto, considerando aspetti di natura diversa, si caratterizza per una rara attenzione alla letteratura secondaria (a cui tra l’altro fa riferimento anche il prefatore dell’opera, Renato Nisticò) e una competenza letteraria non comune, frutto della sua intensa attività critica, che si riversa interamente in una poetica che trova ragion d’essere proprio nella modernità. In conclusione, questa è un’opera di esordio di assoluto valore, capace persino di imprimere nella memoria del lettore, cosa non molto frequente, l’eco ripetuto di alcuni dei versi più belli (laddove per bellezza si intende anche una ineffabile potenza evocativa e una forte pregnanza di significati).
L’immagine: una clessidra (particolare della copertina di Misura del tempo).
Francesco Piluso
(LucidaMente, anno II, n. 4 EXTRA, supplemento al n. 14, 14 febbraio 2007)