Si arriva in una zona tranquilla, in una strada un po’ appartata di Bologna, via Col di Lana, 7/N. Ci si trova davanti a un cancello automatico in ferro, che si apre su una stradina e un cortiletto interno pavimentato. E proprio lì, dove meno ce lo si aspetta, troviamo un museo, esteso in due grandi sale e una piccola, che ricordano più dei garage – e forse proprio questo erano in partenza – che dei saloni espositivi. Ma di cultura, al contrario, se ne trova a bizzeffe nel museo Mille voci…mille suoni. Museo della Comunicazione radio-video-audio-bit-musicale, con i suoi oltre mille e trecento pezzi che ripercorrono la storia delle origini di quelli che sono i nostri stessi strumenti di comunicazione (per collegarti al ricco ed interessante sito del museo, clicca qui).
Il suo eclettico fondatore e direttore, Giovanni Pelagalli, nome ormai divenuto celebre per tale collezione, ci accoglie con una cortesia e con un entusiasmo che inizialmente quasi ci spiazza. Ma non passa molto tempo prima che ci faccia sentire a nostro agio. Gli poniamo qualche domanda, mentre passeggiamo per le interessanti sale.
Da dove nasce l’idea di un museo del genere e come si arriva a costituirlo?
Oggi posso dire che embrioni di questo museo li ritrovo già nella mia fanciullezza e nella mia adolescenza, vissute in una famiglia del dopoguerra, povera, ma serena e ricca di affetti (sono nato nel 1941). In quel piccolo appartamento composto da camera e cucina, pieno di spifferi d’inverno e di gran calura d’estate, al secondo piano di un grande caseggiato di fuori porta San Felice a Bologna, non c’era la radio (un lusso che allora i miei genitori non si potevano permettere) e c’era invece ancora conservata una vecchia rivista sdrucita del 1938 dedicata al primo anniversario della morte di Guglielmo Marconi (il padre della radio) e c’erano inoltre il grammofono “coloniale” a manovella e tre album di dischi a 78 giri “Voce dell’Impero” che mio padre aveva acquistati nel 1936 a Mogadiscio (allora Africa Orientale Italiana), dove si era recato emigrante per rientrare a Bologna a fine 1938 per sposare mia madre. Si aggiunga che a 200 metri da casa mia, nell’ammezzato di un signorile palazzo, abitava una vecchia amica di mia madre (sarà per me come una seconda nonna), che possedeva una “spazzola musicale carillon” che mi metteva in funzione – come premio – ogni qual volta io, ospite in casa sua, non l’avevo… fatta arrabbiare! A questo “quadretto famigliare” (la mancanza della radio, la rivista di Marconi, il grammofono con i dischi e la spazzola carillon) va sommato anche un “2” che il professore di Lettere, in prima media, mi affibbiò per un tema in classe dal titolo “La trasmissione radio che più mi piace”, tema che io consegnai in bianco perché in casa mia la radio non c’era! Ecco, questo contesto forse spiega la mia curiosità, il mio interesse fin da ragazzo per la radio che non avevo, per Marconi, per la musica che avevo conosciuto attraverso i dischi ed il grammofono di mio padre… in ultima analisi per le “mille voci e i mille suoni” che oggi aleggiano all’interno del mio museo. A quindici anni, nel 1956, visto che in famiglia c’era bisogno del mio stipendio, interruppi la scuola e andai a lavorare alla nascente “Sinudyne Radio TV”, che si trovava proprio sotto casa mia, poi continuai a studiare alla sera per ottenere l’ambito “pezzo di carta” desiderato dai miei genitori.
E dopo?
Nel 1965 mi dimisi dalla Sinudyne per dar vita a un’azienda tutta mia – come avevo sognato da sempre – per la produzione, vendita e assistenza tecnica di impianti hi-fi, radio, televisioni e nell’ultimo periodo anche informatica, azienda che in 24 anni di intensa attività mi ha dato numerose soddisfazioni. Nel 1989 cedetti l’azienda ai miei dipendenti, e diedi vita a questo museo con i numerosi pezzi che negli anni avevo già raccolto, alcuni dei quali arrivavano da lontano ed in modo curioso. Infatti, fin dal 1956, parenti, conoscenti, amici, incominciarono ad acquistare da me radio nuove Sinudyne, restituendomi le vecchie per la demolizione, cosa che io non facevo, anzi le restauravo e le mettevo in mostra, prima nella cucina di casa mia, poi nell’ufficio della mia azienda, ed inconsapevolmente davo vita così al primo embrione di quello che oggi è il museo della comunicazione Mille voci… mille suoni! Nel 1989, contestualmente alla cessione dell’azienda ai miei dipendenti, acquistai questi locali di Via Col di Lana e incominciai la felice avventura del museo, dando ordine ai pezzi che avevo già raccolto prima in modo estemporaneo e successivamente, viste anche le mie migliorate condizioni economiche di piccolo imprenditore, anche acquisito in mercati ed aste nazionali e non. Acquisizioni che continuano ancora oggi, sempre in modo oculato, ragionato e con l’obiettivo di arricchire sempre più i 12 settori museali dedicati alle origini ed all’evoluzione degli strumenti della moderna comunicazione. Il resto lo hanno fatto e lo stanno facendo le scolaresche e i turisti, in visita a questo museo fin dalla sua apertura. Da aggiungere, poi, le richieste che mi pervengono per mostre e conferenze da allestire e tenere anche fuori dai confini nazionali, l’interesse e attenzione in continuo crescendo, anche da parte della stampa, di radio e tv. Idem per le istituzioni scolastiche, locali e nazionali. Il risultato: la felice invasione quotidiana del museo, che si ripete ad ogni anno scolastico, da parte di scolaresche da tutta Italia (anche tre turni giornalieri di visite guidate). E, poi, i gruppi di adulti e di turisti…
Come se lo spiega questo interesse?
Innanzi tutto, gli oltre 1.300 pezzi esposti già di per sé sono affascinanti solo al vederli. Il mettere poi in funzione un certo numero di questi pezzi durante le visite suscita ogni volta sorpresa e meraviglia. Le due o quasi tre ore di visita guidata passano velocissime. Gli studenti normalmente non chiedono mai di fare l’intervallo e quasi sempre fanno merenda quando escono a mezzogiorno… una grande soddisfazione per me). Quando poi spalanco le porte del museo, il colpo d’occhio iniziale per chi entra – studente o adulto che sia – produce sempre in tutti una sensazione di meraviglia. Ai presenti, durante la visita guidata, si spiega con linguaggio appropriato, si mostrano esperimenti ad hoc, si approfondisce l’importante argomento della comunicazione, le sue origini, la sua evoluzione fino ai nostri giorni, e allora si può ben capire perché questo museo, unico nel suo genere, desti costantemente molto interesse. Ai visitatori “mostro” e racconto anche le mie esperienze di direttore di una delle prime emittenti televisive bolognesi, cosiddette “libere”, che ho fondato nel 1977 e che ha trasmesso fino al 1982, e ciò mi aiuta a toccare, con maggior cognizione di causa, anche il tema del come gli strumenti della moderna comunicazione, fin dagli inizi – ed oggi più che mai -, condizionino nel bene e nel male questa nostra società ed in primis le giovani generazioni, con tutte le riflessioni che ne possono derivare.
Qual è il pezzo a cui è più legato e quello di maggior valore?
Certamente tra i tanti, tantissimi pezzi, che per me rappresentano anche ricordi e storie di vita, penso in questo momento al grammofono ed ai tre album di dischi comprati da mio padre nel 1936 a Mogadiscio, perché gli tenessero compagnia… musicale durante le estenuanti, rischiose e lunghissime traversate dei deserti e delle savane, con un camion che trasportava merce da un capo all’altro dell’allora Africa Orientale Italiana! Suonando un disco con questo grammofono sul ballatoio di casa, nel 1941 mio padre – così mi raccontava – diede al vicinato l’annuncio della mia nascita. Questo grammofono è stato il mio fedele compagno di giochi… musicali, durante la mia prima infanzia del dopoguerra… in assenza della radio. Di oggetti poi di grande valore e prestigio, ce ne sono tanti, tantissimi, esposti nel museo. Nella sala Marconi, ad esempio, fanno bella mostra di sé decine e decine di pezzi prestigiosi originali firmati “Marconi”, brevettati e costruiti dal grande scienziato presso le sue aziende inglesi e canadesi. La figlia dell’inventore, principessa Elettra, che mi onora con la sua amicizia e stima, ha scritto nel registro degli ospiti questa dedica: “Qui mio Padre rivive”.
Il rapporto con i Ducati…
Ricordo che nel museo sono custoditi i pezzi originali Ducati, risalenti agli anni Venti, Trenta e Quaranta dello scorso secolo, prima ancora che l’azienda producesse motociclette (allora costruiva prestigiosi radioricevitori, cineproiettori, macchine fotografiche, radiosonde meteorologiche, ecc.). Possiedo anche (dono di Bruno Ducati) 19 lettere autografe di Adriano Ducati, definito lo scienziato dei tre fratelli Ducati, i quali, a metà anni Venti, costituirono la Ssr (Società scientifica radio), che poi diverrà la Ducati oggi da tutti conosciuta. Adriano nel 1924 collegò per primo Europa e America tramite onde corte, quando lo stesso Marconi, nel 1901, lo aveva fatto con quelle lunghe, utilizzando, quindi, molta più energia. In queste 19 lettere autografe spedite ai fratelli ed ai genitori qua a Bologna, mentre era in navigazione sull’oceano Atlantico nel 1924, Adriano racconta l’evolversi degli esperimenti scientifici che in quell’anno portarono a compimento tale successo nella comunicazione intercontinentale, emulando Marconi. E che dire poi dei 20 “quaderni” autografi sempre di Adriano Ducati, donati a me ancora dal fratello Bruno, ora in esposizione nella sala Ducati? In queste duemila pagine circa, scritte a mano in italiano e in inglese, lo “scienziato Ducati” racconta le conquiste giornaliere fatte all’inizio degli anni Cinquanta, quando la Nasa, l’ente spaziale americano, gli propose di trasferirsi negli Usa e di entrare a far parte della équipe di scienziati che poi lanceranno il primo satellite artificiale americano nel 1958.
Poi si avvicina a un tavolino e ci racconta che quella è stata la sua prima scrivania. Su una mensola sopra questa ci mostra anche la prima radio che ha costruito durante i tre anni di scuola media…
E questa radio funziona ancora oggi! Qui, in questo museo, tutto è restaurato, tutto funziona!
Il premio più bello?
Beh, penso alle migliaia di studenti e relativi insegnanti che ad ogni anno scolastico chiedono di partecipare alle visite guidate al museo ed anche – e lo dico con un pizzico di sano orgoglio – alle dediche che mi scrivono sul registro ospiti, al termine della visita, segno di un gradimento che mi fa sempre grande piacere. Questo lo considero un grande premio, una grande soddisfazione per me, visto che faccio tutto senza alcun fine di lucro.
Ci mostra il battipanni di sua madre…
Questo è il battipanni che mia madre, stupenda madre, usava con decisione sul mio sedere per moderare le mie esuberanze di adolescente. Ho capito successivamente quanta saggezza educativa si nascondeva in quel battipanni, oggi certamente non più di moda, anche se forse… tralasciamo questo discorso. A proposito di mia madre, persona straordinaria (e – per par condicio – anche mio padre), e per ricordare la mia infanzia del dopoguerra, povera ma serena – come dicevo prima -, amo raccontare che quando pioveva o nevicava, perché non mi bagnassi i piedi nell’andare a scuola a causa dei buchi che regolarmente c’erano nelle suole delle mie scarpe, mia madre mi metteva i suoi stivaletti di gomma che avevano pure il tacco: ricordo che provavo molto imbarazzo, forse un po’ di vergogna, verso i miei compagni di classe più fortunati di me, imbarazzo che mia madre mi faceva però passare, senza l’intervento di alcun psicologo, con una sua carezza ed un sorriso pieno di amore per me… ed io, pur così piccolo, capivo tutto e non mi ribellavo. Anche questa è stata per me certamente una scuola di vita… per la mia vita.
Poi, sulla scia dei ricordi, ci prende l’armonica, che suona fin da giovane, e ci intona un pezzo. L’insuccesso che più la rammarica?
Insuccessi, perdoni l’immodestia, credo ben pochi. Il saldo della mia vita lo considero positivo. La mia filosofia di vita, del resto, mi induce a vedere il bicchiere mezzo pieno. Intendiamoci, non sono un sognatore, i problemi non li eludo, li affronto però razionalmente e con realismo, non mi piango mai addosso e guardo avanti. Ritengo ciò un antidoto potente contro gli insuccessi. Semmai amarezze e delusioni, riferite al museo, le ho ricevute da parte delle istituzioni – tante, davvero tante in questi anni -, disappunti che io controbilancio con le soddisfazioni che pure in piccola parte ho raccontato in questa intervista. Narrando alcuni “siparietti” degli enti pubblici nei confronti miei e del museo, potrei scrivere un libro di tante pagine… ma io sono ottimista, non mi piango addosso, proseguo per la mia strada e controbilancio il tutto con le tante, tante soddisfazioni che mi ritrovo a vivere. C’è in previsione, entro due-tre anni, il trasferimento del museo in una nuova sede prestigiosa, ubicata in posizione strategica e molto bella, in un comune appena fuori Bologna. Peggio per chi non possiede una certa sensibilità o non ha il gusto dell’impegno con la “i” maiuscola. Come cittadino penso che, se non mi fossi mosso in questo modo, oggi non solo non avrei il museo (a disposizione della collettività senza fini di lucro), ma avrei in casa… la radio rotta!
Infine, in due ore ci fa girare il suo museo, spiegandoci nel dettaglio ogni cosa. Certamente, in minor tempo sarebbe stato impossibile. Visto tutto, lo ringraziamo di cuore, mettiamo una dedica sul suo registro, gesto cui tiene tanto, e lo lasciamo tra i suoi gioielli.
L’immagine: foto dell’interno del museo.
Salvatore Della Capa
(LucidaMente, anno I, n. 6, 15 giugno 2006)