Filosofo, matematico e premio Nobel per la letteratura, Bertrand Arthur William Russell fu avverso ad ogni forma di dogmatismo e di oscurantismo, prese posizione contro la guerra, sostenne avanzate teorie sul matrimonio e la morale sessuale, fu molto impegnato in campo politico e sociale. Il suo anticonformismo mordace gli attirò addosso anatemi e censure da ogni parte, procurandogli, addirittura, un periodo di detenzione in carcere: ma ciò non lo indusse mai a desistere dai suoi convincimenti, mantenendo nei confronti del potere un atteggiamento severo, improntato alla critica leale e coraggiosa. Egli viene ricordato nei manuali filosofici soprattutto per l’attività di matematico e di epistemologo, ma i suoi orizzonti culturali non si esaurirono, come vedremo, solo nell’indagine sui fondamenti della scienza.
Un matematico pacifista – Di origine gallese (nacque, infatti, nel 1872 a Ravenscroft, nei pressi di Trelleck, e morì sempre in Galles, nel 1970), il filosofo era nipote di lord John Russell, più volte primo ministro inglese fra il 1846 e 1866. Rimasto orfano in tenera età, egli fu educato dai nonni secondo le regole dei “rampolli” aristocratici (con precettori privati), finché non s’iscrisse nel 1890 al Trinity College di Cambridge, dove curò soprattutto gli studi logico-matematici. Nutrì fin da giovane particolare predilezione anche per la politica e simpatizzò prima per la Società fabiana, poi per il Partito laburista (nelle cui fila si candidò alle elezioni politiche del 1922 e del 1923, con esito infausto). Russell ottenne la notorietà grazie alla stesura, insieme a Alfred North Whitehead, dei Principia mathematica, che vennero pubblicati in tre volumi fra il 1910 e il 1913. Nei decenni successivi, si dedicò intensamente alle meditazioni epistemologiche e linguistiche, confrontandosi con i maggiori filosofi della scienza del suo tempo (Friedrich-Ludwig Gottlob Frege, Giuseppe Peano, Ludwig Joseph Wittgenstein, Karl Popper e i membri del Circolo di Vienna) e redigendo numerosi saggi a carattere scientifico, filosofico e politico, tra cui ricordiamo: Introduzione alla filosofia matematica (1919), Teoria e pratica del bolscevismo (1920), L’analisi della mente (1921), L’ABC della relatività (1925), Perchè non sono cristiano (1927), La conquista della felicità (1930), La prospettiva scientifica (1931), Religione e scienza (1935), Elogio dell’ozio (1935), Ricerca su significato e verità (1940), Storia della filosofia occidentale (1945), La conoscenza umana: suo scopo e suoi limiti (1948), Autorità e individuo (1949), L’impatto della scienza sulla società (1952), Un’etica per la politica (1954), Logica e conoscenza (1956). Una svolta significativa nella sua vita fu segnata dallo scoppio della Grande guerra, che lo indusse ad assumere una decisa e irremovibile posizione in favore dell’obiezione di coscienza al servizio di leva (anche se, in verità, la sua conversione al pacifismo risaliva già al 1901, quando si oppose alla guerra promossa dagli inglesi contro i Boeri in Sudafrica). Il suo impegno pacifista gli costò dapprima l’allontanamento dal Trinity College di Cambridge (presso cui insegnava dal 1895) e, nel 1918, addirittura la condanna a sei mesi di carcere, per aver denunciato l’impiego di truppe statunitensi contro un gruppo di scioperanti inglesi! In seguito, realizzò un progetto educativo alternativo, fondato su metodi democratici e non violenti (sul modello tolstoiano), costruendo una scuola privata sperimentale a Beacon Hill, con l’ausilio della seconda delle sue quattro mogli, Dora Black.
Premio Nobel per la letteratura – Trasferitosi nel 1938 negli Usa, Russell insegnò per qualche tempo a Chicago, a Los Angeles e a New York. Ma proprio nel paese “più libero” del mondo incappò, inopinatamente, in un vero e proprio caso di persecuzione: il vescovo anglicano William Manning lo accusò pubblicamente di immoralità per le idee espresse sulla religione e sul matrimonio. Processato dalla Corte suprema di New York, fu condannato e, quindi, sospeso dall’insegnamento al City College della metropoli newyorkese! Dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1950, Russell s’impegnò alacremente per la pace e il disarmo, redigendo con Albert Einstein e altri intellettuali pacifisti un’importante dichiarazione contro la proliferazione degli arsenali nucleari (da cui prese avvio il Movimento degli scienziati contro l’atomica). Egli fondò, inoltre, diverse associazioni per la difesa dei diritti civili – come la Fondazione atlantica per la pace e il Tribunale Russell – e fu tra i primi a denunciare i crimini contro l’umanità, opponendosi attivamente alla guerra in Vietnam e svolgendo una lodevole attività d’intermediazione durante la “crisi cubana” del 1962 (che rischiò di innescare un terribile conflitto nucleare tra le superpotenze).
I valori liberalsocialisti – Russell si mantenne sempre vicino alle posizioni del socialismo democratico e fu un severo critico del comunismo sovietico, da cui prese le distanze fin dal 1920, quando pubblicò Teoria e pratica del bolscevismo (Newton Compton). La sua disapprovazione del “socialismo reale” non gli impedì, tuttavia, di rifiutare la politica esasperatamente anticomunista praticata dall’amministrazione statunitense negli anni Cinquanta (a tal proposito coniò l’ironico motto pacifista “meglio rossi, che morti!”). Egli mutuò da George Douglas Cole e Sidney James Webb la fusione dei valori liberali con quelli socialisti, recuperando anche alcune istanze del marxismo, tra cui il principio federalista dell’autogestione dei produttori. E nel breve saggio del 1924 Come essere liberi e felici (inserito nel volume Matrimonio, sesso e morale, Newton Compton) così compendiò la sua dottrina politica: «Bene, allora, io dico che nel mondo dello spirito è l’individualismo che vogliamo. È nel mondo materiale che vogliamo il socialismo. Adesso noi abbiamo il socialismo nel mondo spirituale e, adesso, abbiamo l’individualismo nel mondo materiale».
Politica ed etica – Russell rivalutò anche l’importanza dell’istanza etica nell’agire politico, senza per questo scadere nell’utopismo o nel gretto moralismo. Dopo una prima fase “oggettivista”, in cui tentò di inquadrare l’agire pratico all’interno delle “scienze esatte”, egli si volse ad una rappresentazione sostanzialmente relativistica e utilitaristica della morale, tenendo conto delle obiezioni mossegli da George Santayana, altro illustre logico del Novecento. I valori divennero per lui l’effetto dei desideri umani, non totalmente razionalizzabili, né riconducibili ad un insieme di norme scientificamente controllabili. Nel saggio del 1935 Religione e scienza (La Nuova Italia), egli concluse che «l’intera idea del bene e del male ha qualche rapporto col desiderio» e che «l’etica è un tentativo di conferire un’importanza universale e non semplicemente personale ad alcuni dei nostri desideri». Tuttavia, il suo relativismo non fu mai esasperato, poiché introdusse la distinzione fra desideri “compossibili” e “incompatibili”, attribuendo maggior valore etico ai primi. Per chiarire il significato di questa dicotomia è opportuno citare un passo di Un’etica per la politica (Laterza), che risale al 1954: «I desideri di coloro che nutrono benevolenza l’uno per l’altro sono compossibili, mentre sono incompatibili quelli di coloro che nutrono sentimenti di reciproca malevolenza. […] Desideri giusti saranno quelli capaci di essere compossibili con il massimo numero di altri desideri; desideri ingiusti saranno quelli che possono venir soddisfatti solo a costo di frustrare altri desideri». L’azione moralmente corretta, pertanto, consisterebbe nel dar piena attuazione a quei desideri legittimi che non provocano danni a sé o agli altri, favorendo le azioni altruistiche o i comportamenti socialmente utili che permettono alla maggioranza dei cittadini di vivere felicemente.
Scienza e società – Il fascino esercitato dal pensiero di Russell non tramonta mai. Ne è riprova la recente ristampa de L’impatto della scienza sulla società (Introduzione di Michele di Francesco, Newton Compton, Menti Dinamiche, pp. 144, € 7,90), un volume pubblicato per la prima volta nel 1952, che riprende alcune conferenze da lui tenute nel 1950 al Ruskin College di Oxford e alla Columbia University di New York (l’ultimo capitolo ripropone il testo di una sua relazione, svolta il 29 novembre 1949 alla Royal society of medicine di Londra). Di Francesco, nell’Introduzione, evidenzia come nodi centrali dell’opera «i vantaggi e i pericoli che lo sviluppo scientifico e tecnologico possono apportare al genere umano, con particolare attenzione ai temi della democrazia e della guerra». Russel giudica la scienza come un mezzo imprescindibile per il progresso dell’umanità e auspica la diffusione della “mentalità meccanicistica”, a suo tempo elaborata da Galilei e da Newton, da cui desume tre regole fondamentali: «1. Le affermazioni sui fatti si devono basare sull’osservazione, non su autorità prive di sostegno. 2. Il mondo inanimato è un sistema concluso ed autoperpetuantesi, in cui ogni mutamento è conforme alle leggi naturali. 3. La terra non è il centro dell’universo e probabilmente l’Uomo non è il suo scopo (se ve ne è uno); per di più “scopo” è un concetto scientificamente inutile». Questi semplici assiomi inducono Russell a rifiutare il principio d’autorità, nonché la concezione antropomorfica e antropocentrica del mondo. La parte più interessante delle sue elucubrazioni concerne, tuttavia, l’esame dei nessi esistenti fra la ricerca scientifica e la società. Infatti, pur ribadendo il ruolo che la scienza e la tecnica rivestono per migliorare l’esistenza umana, egli ne paventa un uso distorto, che metta a rischio la libertà o la sopravvivenza stessa della specie umana.
No alla tecnocrazia – Russell si sofferma ad esaminare i meccanismi perniciosi del totalitarismo e il ricorso ai metodi “scientifici” con cui i dittatori senza scrupoli (come Stalin e Hitler) sono riusciti a rabbonire le masse e a sottometterle, manipolandone le coscienze. Infatti, è consapevole che «lo sviluppo complessivo della tecnica scientifica ha reso più facile di quanto fosse in passato conservare il dominio dispotico di una minoranza», sebbene sia anche convinto che «la democrazia riuscirà vittoriosa» e che «le dittature scientifiche periranno, perché non saranno abbastanza scientifiche». Egli critica «l’idolatria della macchina», che giudica un vero abominio, considerandone il culto come un sorta di «moderno satanismo». La tecnica, se utilizzata male, porta all’omologazione e al conformismo, impedendo il reale progresso civile di una nazione: «Nessuna società» sentenzia «può progredire senza il lievito di un po’ di ribelli, e la tecnica moderna rende sempre più difficile essere un ribelle». Di fronte alla sfida atomica, ingaggiata durante la Guerra fredda da Usa e Urss, Russell segnala il rischio dell’autodistruzione del genere umano («forse stiamo vivendo l’ultima età dell’uomo e, se così sarà, è alla scienza che l’uomo dovrà la propria estinzione»), ma, nel tirare le conclusioni del suo lucido discorso, si dimostra “possibilista”, sostenendo che l’umanità potrà raggiungere una certa stabilità, se si rispetteranno almeno quattro condizioni. La prima prevede «un governo unico nel mondo, che abbia l’esclusività della forze armate e sia quindi in grado di imporre la pace». La seconda comporta «una generale diffusione del benessere, di modo che non sorgano occasioni di invidia di una parte del mondo verso l’altra». La terza implica «un tasso di natalità ovunque moderato, così che la popolazione mondiale diventi stazionaria o quasi». L’ultima «consiste nel favorire la libera iniziativa così nel lavoro come nello svago, e la massima distribuzione del potere compatibile con la conservazione della necessaria struttura politica ed economica». Pur sapendo che il mondo «è ben lontano dalla realizzazione di queste condizioni», egli, tuttavia, spera in un futuro migliore, «in cui povertà e guerre saranno ormai superate e la paura, dove ancora sopravviverà, sarà diventata un fatto patologico».
Viva l’impertinenza! – Ancora ai giorni nostri c’è chi, tra gli intellettuali, s’ispira allo spirito laico di Russell, alla sua rigorosa metodologia d’indagine dei fenomeni, alla coerenza con cui contrastò sempre qualsiasi forma d’intolleranza. È il caso del noto studioso italiano Piergiorgio Odifreddi, che, nella recente raccolta di saggi edita da Longanesi col titolo Il matematico impertinente (il termine “impertinente” viene qui assunto nel significato etimologico di “non appartenente”, con accezione positiva), cita più volte la figura dell’illustre pensatore gallese, dichiarando quanto segue: «Naturalmente anche gli impertinenti hanno i loro modelli. Quelli che io trovo più pertinenti sono Bertrand Russell e Noam Chomsky: non tanto per le loro posizioni politiche, religiose e filosofiche, sulle quali comunque spesso non discordo, quanto piuttosto per la loro metodologia, sulla quale invece sempre concordo». Quest’affermazione costituisce, a distanza di oltre trentacinque anni dalla morte, un tributo lusinghiero alla memoria di Russell, un filosofo laico che avrebbe ancora molto da dire ai tanti che sembrano aver smarrito l’uso della ragione critica e del libero pensiero.
L’immagine: foto di Bertrand Russell, ben presto assunta tra le “icone” del Novecento.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno I, n. 1, febbraio 2006)