La liberazione dall’alienazione del lavoro e dall’orrore delle nostre metropoli è il tema centrale di “Apocalypse Town” (etichetta Subcava Sonora), terzo (concept) album della band napoletana
Non è di moda parlare di fabbriche, operai, lavoratori spremuti e svuotati, lavori alienanti e città alienate. Tanto meno “fare musica” che cerchi di descrivere tali tematiche. Strano, visto che viviamo in un’epoca di sfruttamento globale. O no, forse non è anomalo, dato che siamo posti pure in un mondo di vuoto morale, di apparenze, di ipocrisie, di “deindustrializzazione”, di scarsa solidarietà sociale.
Forse era dai tempi degli Stormy Six e della loro straordinaria evoluzione artistica che un disco non grondava grasso di fabbrica, rumori stridenti di industrie spietate, vite gettate, rabbia a stento repressa. Per di più un concept album, cioè con le canzoni imperniate su un unico tema e che, nel loro procedere, raccontano una storia. Prodotto da Subcava Sonora – prima etichetta italiana (2010) ad aver rinunciato alla Siae – e dal significativo titolo Apocalypse Town, il terzo album dei napoletani The Gentlemen’s Agreement è invece totalmente immerso in tali scenari. E, infatti, già come aspetto esteriore si presenta proprio con un bullone al centro, che tiene fermo il cd contenente vari “foglietti”, ciascuno col testo di una canzone, arricchiti da splendidi disegni e grafica “underground”. E, per di più, «realizzato interamente tramite il baratto».
Il primo baratto è stato con il SudEstudio di Campi (Lecce) (www.sudestudio.com): costruzione di una delle sale di ripresa dello studio in cambio di un mese di registrazione. Ne sono quindi seguiti altri, come un appartamento in un lanificio del Cinquecento a Napoli in cambio della totale gestione di un club, ex fabbrica di sapone, il Lanificio25 (www.lanificio25.com), fino alla tipografia Resistenza Artigiana, che ha realizzato l’originale e “trasgressivo” cofanetto.
Del resto, Apocalypse Town racconta il percorso evolutivo di un operaio senza nome che cerca e trova un’alternativa agli schemi imposti. I brani iniziali parlano della fabbrica («È il suo turno qui / da un po’. / Non è morto, / ma a breve lo sarà. / La catena di montaggio / è sempre là», Il Milione) e della città Moloch – entrambe ricordano la Metropolis di Fritz Lang. Si passa quindi al loro rifiuto verso un’armonia legata ai cicli della natura e alla sintonia con la terra («Siedi, vivi, prendi il tuo tempo / non l’hai fatto mai. / Come l’acqua tu non hai forma, / cambia quando vuoi»). Un itinerario scandito all’interno del disco dalle singole canzoni, sia da un punto di vista narrativo che sonoro, con le dissonanze iniziali che via via divengono ballabili armonie tropicali o latine, una sorta di originalissimo mix psycho/industrial/samba.
Per riprodurre le iniziali cacofonie della fabbrica sono stati utilizzati una serie di veri e propri attrezzi da lavoro mescolati con percussioni, ma soprattutto strumenti autocostruiti non convenzionali (psycho sitar, mollofono), avvalendosi delle geniali macchine sonore inventate da Peppe Treccia. Il materiale verrà impiegato anche durante i concerti, con una scenografia particolare e i costumi realizzati da una giovane stilista partenopea, Simona Napolitano (www.simonanapolitanoatelier.com), sempre tramite il baratto.
Ben 14 – generosi – i brani contenuti nel disco. Segnaliamo in particolare le tracce Moloch! («Noi, / noi rinchiusi qui, / se il giorno passa, / noi non lo vediamo mai / […] Noi lavoriamo / e produciamo, / ma il tempo ride / e se ne va») e KABOOM! Chiude la Fabbrica («Stendi i panni / l’aria è pulita / […]. L’autostrada è tutta fiorita»). Da gustarsi anche l’ironico video tratto da Dire… Direttore («Faccio i calli per te, / ma tu perché non li fai mai?»). E, in conclusione, ecco chi sono i The Gentlemen’s Agreement (e dalla vastità degli strumenti è facile intuire la loro ampiezza sonora): Raffaele Giglio (voce, chitarra); Antonio Gomez (contrabbasso, basso elettrico, cori); Gibbone (percussioni, pedaliere protoindustriale, rumori, cori); Mauro Caso (batteria, rumori); Pepo Giroffi (sax baritono, sax tenore, sax soprano, clarinetto, flauto traverso).
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 102, giugno 2014)