La donna, dai movimenti di liberazione degli anni Sessanta/Settanta all’individualismo edonista
Si può affermare che il Potere abbia un genere sessuale? Generalmente associamo il termine Potere al genere maschile. Una connotazione legata alla potenza sessuale, iconograficamente rappresentata dal simbolo fallico. Cioè: Potere uguale forza, virilità. Secondo questo percorso, il potere generatore non si associa all’intelligenza, alla gentilezza, alla tenerezza, all’amore ma, appunto, alla forza.
La storia dell’umanità ne sarebbe la dimostrazione, con la continuità del predominio maschile fondato prima sulla forza fisica, poi sulla personificazione del monoteismo, istituzionalizzato nelle religioni su canoni maschili, e infine sul denaro e gli strumenti per detenerlo e conservarlo che hanno pervaso e continuano a pervadere l’economia e la politica, dalla guerra alla criminalità.
In tutto questo si inserisce la figura femminile, che, nella società occidentale, acquista potere pur rimanendo, in questa sfera, minoranza, per lo più relegata nelle famigerate “quote rosa”. La donna cioè conquista il diritto formale di partecipare al Potere. In Italia questo principio passa per la prima volta dopo la caduta del fascismo, quando finalmente anche alla donna viene riconosciuto il diritto di voto. Voto che però per molti anni è esercitato “sotto tutela” del padre, del marito e del parroco. Questo marchia profondamente la legislazione sociale e politica dei primi venti anni della neonata democrazia che, anche grazie alla colta e capillare presenza della Chiesa cattolica, getta le basi per una politica di conservazione senza spazi liberali, nel campo sia civile che economico. Una base culturale che vede ancora il maschio padre, padrone, legislatore, giudice ed esecutore della forza di coercizione.
Gli anni Sessanta del secolo scorso sono stati solo una parentesi, un’importante ma troppo breve parentesi, favorita dal benessere economico che ha concesso pure alle donne la disponibilità di denaro e di consumi anche di tipo voluttuario e culturale. Una importante e sconvolgente parentesi che, per un breve decennio, ha messo in discussione la concezione maschilista del Potere e formato due generazioni culturalmente alternative. Due generazioni sono troppo poche per radicare nella società cambiamenti strutturali, e alla fine la parentesi si è chiusa e la cultura del Potere coniugata al maschile torna ad affermarsi in tutta la società occidentale ed in particolare in Italia, dove appunto non si sono mai conosciute concezioni liberali.
Ma perché definiamo culturalmente alternative quelle due generazioni di persone nate tra la seconda metà degli anni Cinquanta e la seconda metà degli decennio successivo? Innanzitutto – lo abbiamo già detto – lo sviluppo economico ha dato la possibilità a persone, soprattutto giovani, di disporre di beni di consumo non primari ed essenziali per la sola sopravvivenza e pertanto di soddisfare anche bisogni di tipo intellettuale e artistico (non è un caso che gli anni Sessanta siano gli anni della rivoluzione culturale che si esprime soprattutto nei primi movimenti ecologisti, nella musica, con matrici indelebili quali Fabrizio De Andrè, Joan Baez, Leonard Cohen, Jacques Brel, Lou Reed). Ma sono anche anni in cui, mentre matura una sensibilità democratica e umanistica, nel mondo continuano le devastazioni delle guerre, dalla Corea al Vietnam. La Seconda Guerra mondiale con tutti suoi orrori era ancora troppo vicina nella memoria e nei segni fisici della gente per non suscitare una reazione e i giovani erano pronti a cogliere questa suggestione e a reagire non solo alla guerra ma anche alla cultura del Potere violento, sviluppando movimenti pacifisti improntati non sulla parità sessuale ma sulla comunanza dell’esistenza terrena come individui con il diritto di vivere liberi e in pace.
Ma liberi da che cosa? Innanzi tutto dalle convenzioni sociali, strumenti potenti della cultura maschilista che legittimava l’uso della forza. A questo tentativo di trasformazione culturale si contrapposero due potenti armi di dissuasione di massa: la crisi economica cominciata negli anni Settanta e protrattasi fino ad oggi e la cultura dell’individualismo edonista e consumista, che, grazie all’azione persuasiva della televisione, ha spostato il desiderio dall’anima al corpo. Si è rapidamente tornati dal Noi all’Io. Il messaggio che arriva negli anni Ottanta e successivi è chiaro: con gli ideali non vai da nessuna parte! pensa a te stesso ed approfitta di quello che puoi! Ritorna la forza fisica o economica a essere status symbol del Potere e anche le donne che vogliono partecipare al potere devono sottostare a questa logica. Chi non ci sta è fuori, debole, diverso. Certo, questo ritorno all’individualismo ha qualche controindicazione: violenza sessuale, razzista e xenofoba. Ma è un prezzo che il potere di genere maschile sente di avere la forza di accettare e gestire… con la paura!
(tratto da Potere. Governare con la paura, Città del Sole Edizioni, 2012)
Pino Rotta
(LucidaMente, anno VII, n. 75, marzo 2012)
In questo articolo mi pare di poter individuare alcuni punti fermi.
a) il potere è qualcosa di cattivo b) risiede nel possesso della forza fisica e del denaro c) appartiene alla polarità maschile c) è posseduto ed esercitato dai maschi. Con qualche integrazione si tratta della rappresentazione canonica, non solo popolare ma anche “colta”, del potere: il possesso della borsa e della spada nonché (aggiungerei) della poltrona (istituzioni e leggi) e del libro (cultura e informazione). Mi metterei la corda al collo con le mie stesse mani se osassi dubitare di quella indubitabile verità. Nondimeno residuano alcuni fastidiosi fatterelli che quel modello di potere non è minimamente in grado di spiegare, come Newton non poté spiegare la precessione di Mercurio né la stabilità del suo stesso universo. Tarli secolari, campanelli d’allarme di un modello celebratissimo perché inattaccabile, perfetto …cioè sbagliato.
Se il potere risiede nel possesso di spada, borsa, poltrona e libro, resta da spiegare come mai gli uomini abbiano approvato in tutto l’Occidente leggi che:
A-li espropriano di ogni diritto riproduttivo e li sottomettono alla decisione insindacabile della donna, sottraendo a se stessi persino il diritto di esprimere un parere;
B- li espropriano della casa, di una buona fetta del reddito sine die, del diritto di vedere i loro figli e impongono ad essi l’obbligo di garantire a lei il livello di vita preseparazione;
C- consentono alla donna di ricostruire a posteriori la sua volontà negli incontri sessuali, rovesciando in consenso in contrarietà, e ciò senza doverne dare prova alcuna;
d- hanno abolito ogni carattere di oggettività nella definizione dei comportamenti maschili (molestie, stalking) demandando al vissuto femminile il potere di decretarne, a posteriori, la natura;
D- hanno garantito per mezzo secolo il pensionamento anticipato al genere che vive più a lungo.
E- hanno istituito le quote rosa, i contributi a fondo perduto per l’imprenditoria femminile, le borse di studio riservate etc.
Resta da spiegare come mai gli uomini continuino a riservare a se stessi ogni tipo di attività pericolosa tanto che i morti sul lavoro sono maschi al 97%. Come mai abbiano consegnato alle donne il monopolio dell’educazione e lo stia consegnando nella magistratura. Come mai il monologo femminista imperversi da 40 anni senza opposizione etc..
Sono cosucce che quel concetto di potere non è minimamente in grado di spiegare.
E’ la precessione di Mercurio che non torna; è l’universo che non si accascia: è il modello sbagliato.
Ma per demolirlo non è necessario un nuovo Einstein. Basta un Carneade qualsiasi.
Rino DV
Ma queste immagini sadoporno cosa c’entrano con l’articolo????!!!
……è inutile,siamo in Italia.Rassegnamoci.
Gentilissima lettrice, premettendo che non siamo bigotti e sessuofobici e che “ABC” e “l’Espresso” hanno vinto le loro battaglie mostrando nudi in copertina, riteniamo che, essendo il tema del numero la “guerra dei sessi”, si potesse giocare ironicamente con foto di donne dominatrici o dominate. Comunque, anche il sadomaso rientra nell’eros tra adulti consenzienti… Siamo appunto in Italia e non in Iran o in Afghanistan. In attesa dei talebani o della vaticanocrazia… viva la libertà di espressione e sessuale.
Cari amici, mi permetto di inserirmi tra i commenti del mio articolo, prima di tutto per ringraziane Lucidamnte ed i lettori per l’attenzione.
Le immagini inserite dalla redazione sono molto forti e di sicuro effetto mediatico (io avrei messo Joanne Baez… ma solo perchè sono un romantico…), il commento di Rino DV invece mi suggerisce un senso d’impotenza non sessuale ma intellettuale. Se non riusciamo a capire che le condizioni sociali in cui ci muoviamo, qualunque sia il nostro sesso, sono dettate dai modelli culturali maschilisti e frustranti, non riusciamo a cogliere che – fatte le debitissime differenze tra vittime e carnefini nei casi singoli – siamo tutti vittime di un sistema arcaico che va assolutamente contrastato! E se i modelli di convivenza fossero più “femminili” nel senso della non violenza e dalla bellezza non per questo mi sentirei meno maschio! Grazie a Lucidamente per l’ospitalità.
Pino Rotta
Per osservare e descrivere il conflitto tra i sessi dal punto di vista maschile è necessario superare una barriera psicoemotiva robustissima, un diaframma che sembra inscalfibile. Tutto si oppone a tale operazione e perciò si schiva in ogni modo l’ostacolo. Uno degli autodepistaggi si manifesta nella soggettivizzazione della prospettiva. Non potendo obiettare nulla sul piano oggettivo (nomotetico, per usare una parolona) si scende a quello soggettivo (idiografico). “Non c’è un problema esterno, ci sono dei problemi interni a chi lo solleva, lo vede, lo sente. Il problema ce l’ha lui dentro di sé, io invece non ne ho”.
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I “problemini” sono sempre gli stessi, la paura dell’impotenza, la patetica crisi di identità dei maschietti scavalcati dalle Liberate, le dimensioni del pistillo, la scarsità di farfalline: è un problema del soggetto parlante, non una questione oggettiva di cui valga la pena occuparsi. Per questo il cortese Pino Rotta non obietta nulla alle mie precedenti considerazioni.
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Atteggiamento comprensibile (e perciò, in sede analitica, scusabile) perché affrontare la questione sul piano oggettivo è molto doloroso e può essere traumatico. Può comportare risvolti nella vita di relazione: possono frantumarsi rapporti già solidissimi ed entrare in crisi collocazioni idealpolitiche consolidate. Non è un gioco.
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Rino DV