L’esibizione del Mollegiato a Sanremo evidenzia i limiti di un servizio pubblico televisivo che propone personaggi senza arte né parte che si credono degli dei
Mario Monti non è il salvatore della patria (né il suo governo e le decisioni assunte le migliori possibili). Tuttavia, ha l’indubbio merito di aver riportato la politica e il relativo dibattito a toni più civili ed educati. Parliamo dunque del metodo e dello stile, senza entrare nel merito. Tolti di mezzo dalla quotidiana sovraesposizione televisiva gente come Berlusconi, Gasparri, La Russa, Di Pietro, Grillo, Santanchè, Mussolini, leghisti vari, e relative volgarità e programmi tv urlati e insultanti, speravamo che il peggio – per il buon gusto – fosse passato… Invece. Tanti sforzi rischiano di svanire di fronte a certe esibizioni evitabilissime. Ecco le condivisibili riflessioni del nostro Dario Lodi sull’ennesimo “ignorante” italico – non basta Bossi coi suoi discorsi da ubriaco da bar? – che si permette di offendere l’intelligenza delle persone. E lo diciamo da laici… (r.t.)
Il 14 febbraio scorso Adriano Celentano per oltre un’ora ha deliziato (si fa per dire) il pubblico di Sanremo, e quello a casa, con le solite sparate qualunquiste e volgari: ma questa volta era più bilioso e stanco, come se avesse avuto sentore che il suo personaggio è ora solamente e finalmente compatito. Il pubblico ha insomma la curiosità di vedere sin dove va questo eterno giullare, sin dove si spinge la sua aggressività spuntata e la sua insipienza, come si accendono e ardono i suoi risentimenti da bar. Naturalmente non mancano coloro che applaudono, apprezzando – come si può apprezzare un tuono in una pigra giornata d’estate – il sermone celentanesco. Insomma, in certi ambienti, ampiamente disinformati, le parole di Celentano, il suo tono, sono ottimi rimedi contro il sopore. Peccato che poi da svegli non si sappia cosa fare.
Che neppure Celentano lo sappia? Che il Molleggiato sia capace di urlare e nulla più? E che ami tanto l’invettiva da inserirla persino in certe sue composizioni (?) che poi canta, fra un sermone e l’altro, con la sua bella voce nasale? È in buona fede, oppure ha capito tutto? Ha capito cioè che l’uomo semplice nei suoi sermoni sino all’elementarità incontra facilmente il favore della massa? Della massa e non solo, verrebbe da dire, perché i media – anche fior di intellettuali – ben volentieri si accodano al carro del Molleggiato, perché rende. Così anche la Rai si è prestata a dare spazio a Sanremo a questo fenomeno circense; e qualche suo dirigente, chiudendo gli occhi e trattenendo il fiato sulle relative esibizioni, avrà sicuramente detto: «Vada come vada, tanto ci siamo riempiti le tasche con gli sponsor!». Il “Dio denaro”, innanzitutto, anche a prezzo di blasfemie e di improvvisazioni al limite della demenza senile.
Intendiamoci, non è che le cose dette da Celentano siano del tutto astruse: è che sono dette a caso, sono caotiche e concettualmente povere, ed essendo tali sono anche culturalmente misere. Certe realtà che siamo costretti a vivere nascono da situazioni e condizioni create da spinte antropologiche, sorrette dall’istinto, non dalla ragione. Ognuno, socialmente, cerca di fare il meno possibile per avere il più possibile. I combattimenti contro i soprusi, le ingiustizie, sono ancora lievi, quasi impalpabili, nonostante alcune menti eccellenti, alcune personalità vere e responsabili, cerchino di cambiare le regole di questo gioco piramidale che è la società moderna. Altri, come Celentano, si arrabbiano, persino in buona fede e persino credendoci, ma continuano a vivere come hanno sempre vissuto, cioè cercando di non impegnarsi concretamente più di tanto, e brigando, invece, per l’elevazione della propria persona, saltando a piè pari la legge, chissà quando applicabile, della meritocrazia.
Chi si mette in vista, grazie a virtù proprie, ma soprattutto grazie a un sistema dedito al profitto immediato che lo spinge e lo sorregge finché gli fa comodo, non è detto che sia il migliore. Anzi, non lo è quasi mai, se è vero, come è vero, che vengono definiti geni e profeti personaggi dal comportamento non proprio esemplare. Si pensi a Vasco Rossi, si pensi a Zucchero, si pensi alla povera Amy Winehouse. È, insomma, l’interesse spicciolo a determinare certe fortune. Ora, non c’è nulla di male se la star rimane nel proprio ambito, ma è assurdo che vada oltre. Celentano canti, non parli. Oppure, se vuole essere coerente con la sua seconda pelle, approfondisca: si accorgerà quanto sia difficile capire, perché le cose non sono perfette. È l’uomo a non esserlo (ma, certo, deve migliorare!) e quindi, essendo uomo anche lui, non lo è neanche Celentano. Se ne faccia una ragione e riservi i suoi impeti, anche simpatici, per qualcosa di più produttivo di un’invettiva sanguigna e superficiale.
Dario Lodi
(LM MAGAZINE n. 22, 14 febbraio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 74, febbraio 2012)
Comments 0