Gli interventi catastrofici dell’umanità sull’ambiente non sono solo recenti. Ma è sempre peggio…
La specie umana è fra le famiglie animali quella che maggiormente ha contribuito a creare deserti sulla Terra. Non parlo soltanto dei tempi attuali, in cui per motivi speculativi abbiamo ridotto il nostro pianeta a un immane mondezzaio pieno di veleni e rifiuti: plastica, prodotti chimici, deiezioni, radioattività, ogm, etc. La vocazione alla distruzione ha radici lontane; si comincia a manifestare con la fine del Neolitico e l’avvio del sistema agricolo-pastorale. Con l’agricoltura si iniziò a tagliare le foreste e con la pastorizia si inaridì il territorio. Questa non è una favola, è la realtà dei fatti!
Il deserto del Sahara e quello d’Arabia e diversi altri deserti del Medio Oriente sono stati creati, oltre che dalla carenza di piogge (dovuta alla separazione della foresta pluviale), dal sistema pastorale transumante che pian piano ha fatto morire la vegetazione nell’arco di circa 10.000 anni. L’allevamento di armenti, soprattutto capre, protetti dai pastori contro i naturali predatori e mandati a pascolare ovunque possibile, ha favorito la desertificazione. Le capre, infatti, mangiano tutto quel che trovano sino ad arrivare alle radice delle piante e si arrampicano per satollarsi anche sui rami. Pian piano le piante muoiono e di nuove non ne nascono perché fatte fuori appena germogliano. Gli interventi dell’uomo nel tentativo di “aggiustare” le presenze del mondo animale sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie coinvolge anche l’uomo, che non è separato dal mondo animale.
Le regole della vita sono molto semplici: ogni specie sia vegetale che animale ha una interrelazione mutualistica col proprio habitat e con tutte le specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori e così si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti. Ma dove l’uomo s’è frapposto, immediatamente questo equilibrio è andato perso. Lo abbiamo visto con le desertificazioni causate da un esagerato incremento dell’allevamento domestico e di transumanza. Questo, più l’abitudine venatoria nei confronti di specie ritenute nocive o – al contrario – utili all’economia umana, ha trasformato talmente l’habitat da renderlo irriconoscibile…
Tutto ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poiché gli avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli, se non millenni, ed era alquanto difficile per l’uomo riconoscerne gli effetti legati al suo comportamento. Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l’intervento umano ha una conseguenza pressoché istantanea e non si può fare a meno di considerare le cause – così come gli effetti strettamente interconnessi – delle mutazioni ambientali in corso. Dove l’uomo s’intromette subito la natura e la vita recedono. Persino ove l’uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato, anche lì combina guai peggiori. Lo abbiamo visto con la politica dei ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data bioregione e recuperate in altri luoghi del pianeta per esservi reimmesse, come, ad esempio, i cinghiali caucasici.
Questa politica è invero deleteria. I danni causati all’habitat dall’introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tant’è che di tanto in tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per il contenimento di dette specie. La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi, creando un’altalena di presenze fra specie predate e specie predatorie; dove interviene l’uomo appare il caos. Tuttavia è ormai impossibile che la natura sia lasciata a se stessa… Dovrebbe scomparire l’uomo.
Le immagini: a uso gratuito da pixabay.com.
Paolo D’Arpini – Rete bioregionale italiana
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 177, settembre 2020)